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Le più belle feste patronali raccontate per vivere un'esperienza di viaggio indimenticabile.

Scegli il tuo itinerario e lasciati deliziare dai prodotti dell'enogastronomia pugliese: la Puglia che non hai mai visto ti aspetta!

I COMUNI DEL MESE  

I comuni

2022-07-26

CHIEUTI

Situato su una rigogliosa collina, a circa 8 km dal mare, Chieuti è considerato la "Porta della Puglia" ed è circondato da panorami mozzafiato: il promontorio del Gargano, con visuale sul lago di Lesina, che sovrasta la vista ad Est, mentre a ovest predomina un’ampia veduta sul basso Molise, in particolare Termoli e il suo porto.   Sullo sfondo, sovrasta la Maiella, e nelle giornate prive di foschia è visibile persino il massiccio del Gran Sasso, che regalano nei pomeriggi estivi suggestivi tramonti. Chiude la cornice del meraviglioso panorama la presenza delle isole Tremiti, che si affacciano di fronte al litorale della Marina di Chieuti in un mare cristallino che più volte si è visto assegnare ambiti riconoscimenti, come la Bandiera Blu e le quattro vele Legambiente e che si estende su un litorale sabbioso dalle acque cristalline con le Isole Tremiti e il Gargano a fare da sfondo ad un paesaggio mozzafiato.     {IMAGE_2}{IMAGE_3} Dopo essere stata distrutta dai Goti nel 495 d.C.,  tra il 1460 e il 1470 si insediò stabilmente sul territorio una comunità albanese, giunta al seguito del condottiero Giorgio Castriota Skanderbeg.   Di queste origini, Chieuti conserva ancora oggi testimonianza grazie alla presenza della lingua Arbereshe, tutt’ora parlata tra la popolazione. Negli ultimi anni, la comunità si sta attivando per la salvaguardia e la valorizzazione di questo retaggio, attraverso manifestazioni ed eventi, con canti in lingua e abiti tipici.   LA FESTA Caratteristica di Chieuti è senza dubbio la festività in onore del Santo Patrono, San Giorgio Martire, con la Carrese del 22 Aprile, singolare corsa con protagonisti quattro carri in legno, trainati ognuno da una coppia di buoi, che con l’aiuto dei cavalli percorrono un tragitto di circa 4 km che dalle campagne li conduce fino alla chiesa situata nel centro storico del paese.   Il premio per il carro vincitore sarà portare in spalla il simulacro del Santo durante la processione del 23 aprile, indossando un copricapo rosso con il fiocco del colore della propria contrada: in questa occasione sfila anche il Tarallo, una forma di pasta di caviocavallo di circa 80 kg, che dopo essere stata benedetta viene suddivisa e  distribuita all’intera popolazione.      Da visitare: il Museo della cultura ed identità Arbereshe, a cui si aggiunge il Museo della Migrazione Chieutina, e  la chiesa cattolica San Giorgio Martire, costruita nel XVII secolo in onore di Skanderbeg. La chiesa conserva al suo interno una tela raffigurante San Giorgio e il drago, ascrivibile al maestro Alessio D'Elia,  databile intorno al 1740. Nell'edificio sacro fanno da pendant al San Giorgio e il drago una tela raffigurante la Madonna del Carmine che dona lo scapolare alle anime del purgatorio, anch'essa ascrivibile alla produzione del D’Elia, e un manufatto raffigurante la Madonna col Bambino, ascrivibile alle opere di Paolo Saverio di Zinno (1718-1781), scultore molisano molto attivo in Capitanata.     Foto di: Gaetano Armenio e Pasquale Aurelio     

I comuni

2022-06-21

LESINA

...nota ai romani come Alexina, è una cittadina di circa 6.000 abitanti sita in provincia di Foggia e facente parte integrante del Parco Nazionale del Gargano. Fondamentale per lo sviluppo della città è l'omonimo lago, o più precisamente la laguna poichè separata dal mare da una striscia dunale chiamata Bosco-Isola e delimitata da dua canali di marea artificiali: Acquarotta a ovest e Schiapparo a est. La lunghezza della laguna è di circa 22 km e la sua larghezza massima di circa 3,5 km, per un'area complessiva di 51 kmq.   L'economia di Lesina si basa fondamentalmente sulle attività ittiche che nei secoli scorsi sono sempre state la fonte di sostentamento dei suoi abitanti, soprattutto nei momenti di grande carestia. Lesina è, infatti, un paese di paranze, nasse, arpioni, pali di castagno: strumenti da pesca, attività molto florida in passato, su cui è strettamente collegata la costruzione di natanti adatti per i bassi fondali del lago; non più di dieci anni fa, le acque del lago erano solcate da barche in legno a vela quadrata. Altro elemento rilevante per l'economia del paese è il turismo: numerosi gli alberghi e i campeggi, soprattutto nella frazione a mare di Lesina Marina.   Nel 1965 il regista Elio Piccon girò a Lesina e a San Nicandro Garganico, il documentario “L'Antimiracolo”, nel quale espose le ancora difficili condizioni di vita in alcune zone della Puglia e l'organizzazione arcaica, sino agli anni Sessanta, che caratterizzava la società locale, rimasta isolata dal boom economico italiano di quegli anni. Il documentario ottenne il “Leone di San Marco” alla XXVI Mostra del Cinema di Venezia.   Oggi Lesina conserva intatto il suo antico fascino: il borgo vecchio con la sua imponente Cattedrale dedicata alla Santissima Annunziata e il palazzo vescovile, risalente al 1200, ricordano tempi lontani i cui la cittadina viveva solo grazie alla pesca. Nella sala museo dedicata allo studioso “Raffaele Centonza” sono esposti reperti (recuperati grazie a uno scavo archeologico effettuato in seguito a una bonifica algale) sepolti da sedimenti limosi del fondale lagunare, che appartengono a sette tombe e fosse scavate nella roccia calcarea, contenenti corredi funebri datati tra VIII ed IV secolo a.C.   LA FESTA   La festa di San Primiano ha avuto sempre una grande considerazione da parte dei lesinesi, tant'è che coloro che si trovano fuori paese per vari motivi nei giorni dal 14 al 16 maggio, ogni anno si ritrovano puntualmente a tornare per onorare il santo protettore. In particolare è degna di nota la Congregazione laicale dedicata a San Primiano Martire. I solenni festeggiamenti in onore del santo si svolgono annualmente il 15 maggio, ricordando così il giorno del suo martirio e assunzione in cielo.    A San Primiano è dedicato, in realtà, tutto il mese di maggio; la prima domenica del mese il simulacro viene trasferito dalla chiesetta a lui dedicata alla Chiesa Madre, con una breve processione per le vie del paese.  All'interno invece, dei tre giorni della festa, il primo 14 maggio è dedicato ai festeggiamenti in onore della Madonna dell'Annunziata: dopo la messa solenne la tradizione vuole che tutti i santi presenti nella chiesa vengano portati in processione.    Il 15 maggio è il giorno della festa patronale vera e propria; dopo la messa il simulacro di San Primiano viene portato in processione in spalla per le vie del paese ornato per l'occasione da fiori e doni votivi in oro offerti nel corso degli anni dalla popolazione lesinese.  I fedeli che vogliono onorare, in maniera profonda e con grande trasporto, il santo per le grazie ricevute, sono soliti compiere il percorso processionale a piedi nudi, segno di umiltà e gratitudine.  Il rientro del santo simulacro nella Cattedrale, è accompagnato in Piazza Fontana da fuochi pirotecnici e dal concerto bandistico.  Il 16 maggio si caratterizza di suggestioni uniche che solo questa particolare ambientazione lagunare può offrire, con il grande concerto dal vivo in piazza Umberto I e gli spettacolari fuochi pirotecnici che lungo il lago si stagliano nel cielo di mezzanotte.  L'ultima domenica di maggio la statua di San Primiano viene portata sulle acque del Lago di Lesina a bordo di tipiche imbarcazioni lagunari, chiamate “sandali”, per la benedizione delle acque e affinchè vi sia sempre abbondanza di pescato: una testimonianza, questa, che sottolinea il legame ancestrale tra religiosità paesana e vita sociale ed economica che gravita da sempre attorno alla laguna. Infine il santo viene ricondotto nella chiesetta di San Primiano che resta aperta durante l'anno alla venerazione dei fedeli.

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2022-06-21

PARABITA

La presenza dell'uomo sul territorio di Parabita ha origini remote (80.000 a.C. circa). Nel 1966, infatti, in una grotta denominata poi “Delle Veneri”, furono trovati reperti risalenti in parte al Paleolitico medio, appartenuti all'Homo Sapiens Neander-thalensis (Neanderthal) e in parte al Paleolitico superiore (35.000-10.000 a.C.), appartenuti all'Homo Sapiens Sapiens (Cro-Magnon), due scheletri acefali (Cro-Magnon 35.000 a.C.) e due statuine (12.000-10.000 a.C.) scolpite in osso di cavallo dell'altezza di 9,6 cm. l'una e 6,7 cm. l'altra, riproducenti donne in stato di gravidanza. La “Grotta delle Veneri” è uno degli insediamenti archeologici più importanti del Salento, in seguito alla cui scoperta si è potuto avere la certezza della presenza dell'uomo di Neanderthal nel Bacino del Mediterraneo. Lo sviluppo urbanistico e sociale del villaggio si ebbe sino all'anno 1000 a.c. (età del bronzo), quando in una valle situata a ovest di esso, fu fondata Baubota o Bavota, una forte città Messapica che subì un processo di colonizzazione Greca intorno all'800 a.c. (età del ferro). In seguito i Messapi, popolo tendenzialmente pacifico, dovette ingaggiare guerra contro Taranto e poi, alleati di essa, contro Roma. Bavota fu vinta e assoggettata (272 a.C. - 400 d.C.) ma, per la sua importanza, Roma le lasciò una certa autonomia, tanto da poter avere una zecca propria e coniarsi delle monete.   Bavota subì l'influsso Bizantino grazie ai Monaci Basiliani, giunti nel Salento dopo il 726 d.c. Nel 927 d.c., benchè fosse “forte e turrita”, la città non potè sottrarsi alla distruzione dei Turchi. I superstiti si spostarono più a sud e fondarono il nuovo casale, Parabita. La nuova città aveva una forte cinta muraria su cui si aprivano a nord la “Porta di Lecce”; ad ovest la “Porta di Gallipoli” (luogo oggi familiarmente chiamato “ssutta a porta”); a sud una terza porta, di cui si è persa la memoria del nome; a est la “Porta Falsa”. Lo Stemma Civico di Parabita presenta due torri con due cipressi, unite da un ponte, l'insieme dominato da un angelo che ha in mano una spada. Anche questa sembra una reminiscenza della vecchia Bavota, in quanto la stessa effigie si trovava su una faccia delle sue monete con l'unica differenza di un uccello al posto dell'angelo.   LA FESTA   La festa inizia il sabato con la processione che attraversa diverse vie della città.  La giornata più importante è la Domenica, quando, in mattinata, si ripete la tradizione dei i “Curraturi”.  Narra la leggenda che un contadino, arando un pezzo di terra, incuriosito dal fatto che i buoi si inginocchiavano sempre allo stesso punto, scoprì sepolta una sacra immagine di madonna dipinto su un masso.  Per la gioia e la sorpresa corse subito in paese per annunciare la formidabile scoperta e il popolo in processione trasportò nella murata città di Parabita la bella immagine della “Matonna ta Cutura”.  A mezzogiorno della Domenica dedicata alla Madonna della Coltura, che si festeggia la quarta domenica di maggio, un gruppo di giovani, i curraturi, simula la corsa del contadino verso il paese per annunciare la lieta scoperta.  Nella giornata del Lunedì, in ricordo della traslazione del monolito dalla chiesa matrice al Santuario, è da segnalare il suggestivo incendio del campanile della basilica.  Viene chiamato appositamente un gruppo pirotecnico, specializzato in simulazioni d'incendi di strutture architettoniche, e il campanile sembra davvero bruciare, tra gli applausi e gli sguardi sbalorditi del foltissimo pubblico che riempie Piazza Regina del Cielo, e, quando il campanile sembra ormai essere divorato completamente dal fuoco al suo interno, ecco accorrere la Madonna a spegnerlo e a salvare la sua casa, tra i rintocchi delle campane che suonano a festa.    Ad anni alterni, da qualche tempo, l'incendio del Campanile è stato sostituito da uno spettacolo di musica e fuoco dal titolo “La festa del fuoco”, che coinvolge tutta la basilica e il campanile stesso.  Naturalmente non possono mancare i diversi concerti bandistici che si alternano sulla cassa armonica, le luminarie che sono state predisposte per addobbare e abbellire le vie centrali della città, quali Via Coltura e Via Luigi Ferrari che si prestano per l'installazione di due bellissime gallerie e di altrettanti frontoni, Via V. Emanuele II e III, Piazza Umberto I.  A conclusione della festa vi sono poi i tradizionali fuochi d'artificio a cura di rinomatissime ditte specializzate.

I comuni

2022-06-21

GALLIPOLI

    GALLIPOLI (dal greco Kale Polis che significa città bella). L'origine della Città bella è incerta, molti ne attribuiscono la fondazione ai Greci, altri ai Messapi. Gallipoli, isola nello Ionio, unita alla terraferma da un ponte conserva nel centro storico lo sfarzoso castello aragonese con il suo Rivellino e le antiche mura bastionate; i vicoli e le corti a tela di ragno, compongono un immenso labirinto di età bizantina a difesa della città che disorientava l'invasore e non riusciva a farla espugnare.   I tantissimi palazzi gentilizi del Seicento e Settecento, i frantoi oleari ipogei scavati nelle fondamenta della città che nel 1600 producevano l'olio lampante, la superba Cattedrale di Sant'Agata con la facciata barocca intarsiata nel carparo, la fulva pietra locale e i più di 700 mq. di tele dell'interno, l'Antica Farmacia del XIX secolo con le ceramiche dove venivano conservati i medicamenti e i monasteri e gli Oratori Confraternali sorti nella seconda metà del 1600 come corporazioni di arti e mestieri sono gelosi custodi delle tradizioni e della religiosità di Gallipoli.   {IMAGE_2}{IMAGE_3} L'oratorio di Santa Maria della Purità, che organava i “vastagi o bastagi” (gli scaricatori di porto), è un vero e proprio scrigno di bellezza per gli stalli intagliati e dipinti, gli affreschi ed il pavimento maiolicato. L'oratorio del Santissimo Crocifisso, che organava gli “uttari” (i costruttori di botti), dal suggestivo prospetto color terra di siena, custodisce una statua in legno del Cristo Morto di incomparabile bellezza.   “Fare il giro della padella”, così viene chiamato il centro storico di Gallipoli, perchè nelle vedute aeree il borgo antico circolare ed il ponte - che sembra il manico - danno l'idea di una padella.   LA FESTA Nell'Ottocento la festa di Santa Cristina si celebrava nella seconda metà di luglio, ma non con una data fissa. Dagli inizi del Novecento la festa si svolge dal 23 al 25 luglio con modalità variate solo leggermente nel corso degli anni. Il 23 luglio, il preannuncio della festa è dato da colpi a salve e dalla musica delle bande per le strade, nel pomeriggio la processione dalla chiesa di Santa Maria della Purità si snoda per le vie cittadine.   Il secondo giorno le bande eseguono in mattinata pezzi scelti in luoghi pubblici; nel primo pomeriggio “la cuccagna a mare” un palo inclinato sulla banchina del porto e cosparso di sego, sulla cui sommità è issata una bandiera dell'Italia e i giovani correndo lungo il palo devono riuscire a prendere la bandiera e a vincere così la competizione.    Il terzo giorno è riservato allo spettacolo leggero e a fine festa ancora fuochi pirotecnici illuminano il mare. Il corso principale ospita bancarelle di ogni genere, compresa l'immancabile scapece (pesciolini fritti e marinati) e la cupeta (il croccante).   Nella tradizione popolare Santa Cristina porta la “steddhra” (stella) dall'episodio di un ragazzo che un giorno di festa religiosa morì annegato. Fatti similari si sono succeduti nel corso degli anni, avvalorando la credenza popolare che sconsiglia di fare il bagno il giorno della festa.   Altra particolarità è la presenza ai piedi della statua della Santa, opera del De Lucrezi, di un cagnolino, che rappresenta la fedeltà e simboleggia la costanza di fede di Cristina. Secondo la tradizione il cagnolino scomparve durante l'epidemia di colera per ricomparire al termine di essa: ecco perchè i gallipolini si augurano che rimanga sempre ai piedi della Santa per scongiurare qualsiasi sventura alla città.     Da visitare: Castello Angioino, Fontana Greca, Cattedrale di Sant'Agata, Chiesa di San Francesco d'Assisi, Chiesa del Santissimo Crocifisso, Chiesa di Santa Maria degli Angeli, il Centro storico.       Foto di Leo Barletta / Scattomatto

I comuni

2022-06-21

ALBEROBELLO

Riconosciuta nel 1996 come patrimonio mondiale dell'umanità dall'Unesco, Alberobello è universalmente conosciuta per i suoi Trulli: costruzioni architettoniche uniche al mondo e straordinario esempio di come le strutture apparentemente più semplici, si rivelano anche le più ingegnose. Nel corso del tempo, questa cittadina adagiata nel cuore della valle d'Itria ha vissuto una straordinaria trasformazione, da centro contadino a polo turistico mondiale.   Le sue caratteristiche peculiari, unitamente al fatto che gli edifici sono tuttora abitati, rendono unico il sito, che rappresenta un vestigio eccezionale di tecniche costruttive antiche, in un paese riconosciuto come una delle più importanti regioni del mondo in relazione all'architettura di pregio e all'urbanistica. Ma la cultura di un luogo non si manifesta solo negli aspetti materiali ma anche negli aspetti immateriali, che si trasmettono di generazione in generazione attraverso la lingua, la musica, il teatro, i comportamenti, la gestualità, le tradizioni, le pratiche i costumi e molte altre forme sociali e culturali. Alberobello risulta anche per questo, essere iscritta nella prestigiosa World Heritage List per gli aspetti immateriali della sua cultura locale. Alberobello è quindi testimonianza dell'eccezionalità di un passato sopravvissuto intatto, con le sue tradizioni culturali e architettoniche, nel mondo moderno.   Come trascorrere al meglio qualche giorno ad Alberobello: Il nostro passato ci ha lasciato un'eredità incredibile e di vario genere, primo fra tutti il duro lavoro manuale dei contadini della pietra calcarea per la realizzazione a secco dei trulli. L'eredità dei nostri avi rende oggi possibile vivere delle esperienze indimenticabili, anche grazie all'arricchimento degli stessi con servizi studiati per il turista che intende trascorrere qualche giorno in più in questa magica cittadina. Alberobello culturale: la scoperta ai monumenti storici di Alberobello può essere possibile trascorrendo qualche ora accompagnati da una guida esperta e qualificata. Alberobello trekking: il circondario di Alberobello può far vivere un'esperienza unica immersi tra la natura incontaminata, che ben si sposa con il paesaggio campestre forgiato dall'uomo con i suoi innumerevoli ulivi, i suoi mandorli, i suoi lecci secolari e i muretti a secco che caratterizzano l'intero territorio. Alberobello cycling: molti non sanno che Alberobello vanta un Bosco di dimensioni notevoli che permette di essere attraversato in mountain bike seguendo più percorsi ben segnalati con apposita cartellonistica. Alberobello enogastronomica: le svariate attività che realizzano prodotti di ottima qualità possono aprire le porte al turista curioso di degustarle direttamente in loco. Tra gli altri prodotti della nostra regione, il turista può toccare con mano i metodi di produzione di taralli, olio extravergine d'oliva, orecchiette, dolci di mandorla, mozzarella e altri prodotti caseari unici. Gli ottimi prodotti della nostra terra possono essere gustati all'interno delle attività ristorative con la sapienza dei nostri chef, capaci di interpretare sempre al meglio le diverse qualità stagionali. {IMAGE_4}{IMAGE_1} LA FESTA Nel corso di questi quasi quattro secoli ai Santi patroni Cosma e Damiano sono attribuiti solenni festeggiamenti consistenti, a memoria d'uomo, in quattro giornate, dal 25 al 28 settembre. Il primo giorno è riservato all'antica fiera del bestiame, anche questa legata insolubilmente alla nascita della città. Infatti, alla fine del Settecento, con l'affrancamento dalla feudalità, Alberobello iniziò un cammino autonomo, anche nel culto. Qualche anno più tardi, nel 1803, ottenne le reliquie dei due santi: frammenti del braccio destro di san Cosma e del cranio di san Damiano. Nel 1820 furono istituite, in occasione della festa, due giornate di fiera, avvenimento che allargò notevolmente il circuito di pellegrinaggio anche a mercanti e allevatori provenienti da tutta la Puglia e dalla Basilicata, punto di riferimento e di incontro per i pellegrini di settembre.  Il decreto ufficiale che autorizzò la vendita di grano, di vino, di ovini e altre mercanzie nei giorni 25 e 26 settembre giunse il 24 luglio 1820 a firma del Principe ereditario Francesco, Duca di Calabria. La compravendita degli animali si svolgeva in largo Fiera, detto anche largo Fogge, attuale largo Martellotta; lungo il corso e nelle piazze della Vittoria e delle Erbe si svolgeva invece il mercato di bambagia, di lino, di stoffa, di canapa, di funi, di ferri e rame lavorati, di scarpe, di ferri minuti, di seterie, di cappelli, ...  Di quei giorni, scrive Pietro Giannocaro, parroco di Coreggia e celebrante per diversi lustri a prima messa alle ore 4:00 del 27 settembre: ricordo con nostalgia la sfilata dei "massari" che, prima di andare a combinare i loro affari alla "foggia", con i segni della loro potenza economica e dell'autorità padronale, il bastone nella mano e la frusta che scendeva dal collo come una stola sacerdotale, venivano a "salutare" i Santi Medici. Li ricordo sostare solenni per qualche istante dinanzi alle statue. Non una parola, ma un solo sguardo, un inchino di testa e subito dopo al tavolo del sacerdote, ancora assonnato, a lasciare "una Messa" o "una litania", prendere una immaginetta, baciarla e sistemarla nel portafoglio a giustificare la venuta e a provare quanti Santi Cosimo avevano fatto nella loro vita. Una scena che non vedo più da molti anni.  Il giorno di festa più solenne è il 27 settembre. La festa inizia presto, anzi inizia il giorno precedente con la veglia per tutta la notte. Gli addetti della parrocchia predispongono al meglio l'accoglienza dei pellegrini che numerosi affolleranno la basilica. I primi già si vedono alla mezzanotte e man mano riempiono la piazza antistante la basilica. Verso le 4:00 il vocio dei fedeli si fa sempre più insistente fino a quando intravedono, con l'apertura del portale delle Beatitudini del Rollo, l'arciprete-rettore della basilica santuario, a prendere posto per la celebrazione della Messa.  Alle 11:00, come memoria vuole, inizia la processione del mattino, nota meglio come la festa tradizionale dei pellegrini. Da consuetudine, la statua di san Damiano precede Cosma.  Con la riforma del Calendario liturgico, accolta nel 1973, il dies natalis, ossia il giorno della morte sulla terra e della nascita in cielo, lo si volle anticipare al 26 settembre; contrariamente ai festeggiamenti ufficiali, ad Alberobello resta ferma la data 27 settembre, grazie ad una speciale autorizzazione dell'allora vescovo mons. Antonio D'Erchia. Per quanto riguarda la disposizione dei Santi in processione si racconta che in passato, molto probabilmente per un fatto fortuito, san Damiano uscì dopo il gemello Cosma, ebbene in tale occasione, a detta di chi vi ha assistito, l'avvio non è avvenuto per essersi le statue appesantite al punto tale da non permettere di avanzare d'un passo, come se fossero state inchiodate. Allo stesso modo i santi immobilizzarono i cavalli dei vicini Martinesi che, nottetempo, tentarono di trafugare le statue dalla chiesa e, nonostante le nerbate, i destrieri non si mossero. Damiano, quindi, in Alberobello, precede Cosma tra ali di folla plaudenti e tripudi di canti per il lungo percorso che dura due ore. Per diversi anni S.E. mons. Cosmo Francesco Ruppi, arcivescovo metropolita di Lecce e nativo di Alberobello, puntualmente ha presenziato alla processione reggendo le reliquie e benedicendo la moltitudine che si accalca al passaggio della stessa, che, avanzando lentamente, permette l'alternarsi ai Cavalieri, prima sotto l'una e poi sotto l'altra statua.  Le scene descritte nella processione del mattino si ripetono il pomeriggio del giorno successivo in quella serale del 28 settembre. Sui gradini della basilica i fedeli si accalcano in attesa della seconda processione. Sono persone di ogni età che sfileranno lungo un nuovo percorso, e daranno vita a quella che sarà la lunga intorciata, un fiume di candele con lo stoppino che fa tremolare la fiammella. Precedono le statue, il vescovo di Conversano e le molte autorità del circondario con i loro variopinti gonfaloni, invitate dal Comitato Feste Patronali.  Ad animare il silenzio, dopo l'uscita delle sacre immagini al suono festoso delle campane e della banda musicale che ripete l'inno del mattino, sono le preghiere che si ascoltano dagli altoparlanti e, nell'intervallo, la banda riaccende gli animi in maniera festosa, intonando talvolta marce profane. In largo Martellotta un tempo si sostava; i santi apprezzavano la fragorosa esplosione di fuochi sul piazzale della bascula. Quando le statue raggiungono piazza del Popolo, nell'immensa folla che trabocca da ogni angolo, c'è apprensione e nei volti la fede. La seconda banda dall'alto della cassa armonica inizia ad intonare una nuova marcia, e, intanto, si ascoltano gli spari di fuochi e si innalzano palloni areostatici. Approssimandosi le statue al piazzale Curri, antistante la cattedrale, i partecipanti che hanno dato origine all'intorciata, si ritrovano pigiati gli uni contro gli altri nel muto linguaggio della fede. La benedizione del Vescovo, dopo il panegirico di san Cosma e di san Damiano, è il preludio che le statue verranno risollevate, e, senza voltare le spalle ai fedeli, saranno accompagnate nella cattedrale e collocate dietro l'altare maggiore per rimanervi ancora per altri trenta giorni, prima di essere riposizionate, con un'apposita cerimonia, nella loro edicola.  

GLI EVENTI

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Maggio

07-08-09-10

San Nicola

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13-14-15-16-17

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LA FESTA

UNA SERIE DI COLPI LANCIATI VERSO IL CIELO MATTUTINO, SUBITO DOPO RIMBOMBI CHE RIMBALZANO TRA LE PARETI DEI VECCHI PALAZZI DEL CENTRO STORICO, ECHEGGIANO NEI VICOLI FINO A DISPERDERSI, MENTRE IN CIELO RIMANE SOLO L’ULTIMA TRACCIA, CIUFFI DI FUMO BIANCO PORTATI VIA DAL VENTO. È IL SEGNALE CHE TUTTI ATTENDONO,  LA FESTA DEL PAESE PUÒ AVERE COSÌ INIZIO. di Francesco Di Palo Le tappe di un suggestivo e affascinante viaggio tra le più spettacolari feste religiose di una regione, anche sotto questo particolarissimo aspetto da declinare al plurale “le Puglie” che continua a vivere la propria dimensione sacrale con manifestazioni antichissime eppure attuali, capaci di evocare storia e storie, dalla forte carica aggregante. Il fumo denso e biancastro, dall’odore acre di zolfo, si alza alto, in vaporosi sbuffi, nel cielo di maggio, misto a brandelli di carta bruciacchiata.   Lo scompiglio è totale e sono centinaia i giovani, i “fujenti del Soccorso”, che sfidano le rudimentali artiglierie di bombe carta, penzolanti in lunghi filari, facendosi largo e scansando per un soffio le mitragliate assordanti e multicolori. Non siamo al centro di una scena di guerriglia urbana, ma al momento di tensione massima, e pericolosamente esaltante, della festa annuale che SAN SEVERO (FG) dedica alla Madonna del Soccorso. I fuochi di terra, “batterie alla sanseverese”, incendiano, deflagrano, esplodono lungo tutto il percorso della processione. All’altro capo di Puglia, nell’estremo Salento, il nuovo anno si apre con il fuoco: a NOVOLI (LE) la “focàra”, gigantesca piramide a gradoni, ottenuta con tonnellate di sarmenti resi disponibili dalle potature invernali delle viti, illumina la notte del 16 gennaio, vigilia del patrono del paese Sant’Antonio Abate, e raccoglie intorno alle sacre vampe che scacciano i geli. Il santo eremita, che per Cristo rinunciò agli agi e alle ricchezze assicuratigli dal nobile natale, si ritirò in contemplazione nel deserto d’Egitto dove visse centenario. È invocato per la guarigione dei mali fisici e a protezione degli animali domestici e da stalla. Non passano pochi giorni che un’altra “foc’ra” prende ad ardere a GROTTAGLIE (TA), il 30 gennaio, vigilia della festa di San Ciro. Fuochi cerimoniali, “fanove”, rischiarano la notte tra l’11 e il 12 gennaio in onore della Madonna della Vetrana a CASTELLANA GROTTE (BA): rievocano l’intervento miracoloso della Vergine per liberare dalla peste, nel 1691, la cittadina. Le celebrazioni si rinnovano l’ultima domenica di aprile, con una lunga processione in cui la statua della Madonna si accompagna al festoso corteggio di decine di statue di santi. Migliaia i ceri, alcuni di enormi dimensioni, che accompagnano a BITONTO (BA) le statue dei Santi Cosma e Damiano, la cui venerazione non conosce declino. L’intorciata ha luogo la terza domenica di ottobre, in concomitanza con la chiusura della vendemmia e il tradizionale avvio, in Puglia, della raccolta delle olive. Spettacolare e imponente anche la processione con grossi ceri, “turci”, che accompagna per le vie del paese, e dei campi, la statua della Madonna della Neve, patrona di NEVIANO (LE), la sera del 5 agosto. Ancora assai leggibile il sostrato di culti agrari assorbito e rigiustificato da rituali propriamente cristiani, nella festa di Santa Vittoria “piccinna” a SPONGANO (LE): il 22 dicembre, lungo le strade del centro salentino, ha luogo la processione delle “panare” accese, grandi ceste di vimini abilmente intrecciati, ricolme di sansa e ornate di agrumi, nastri, fiori. Il rito celebra il martirio della santa arsa viva per non aver rinnegato il credo nel Dio cristiano.  Sono invece offerti alle anime dei trapassati, “cocce priatorije” ovvero “teste del Purgatorio”, i fuochi che ardono nella notte tra l’1 e il 2 novembre e illuminano ogni angolo di ORSARA DI PUGLIA (FG) sino a farne assumere l’aspetto di girone dell’Inferno dantesco: in cima alle pire si collocano verdi rami di ginestra (pianta dalla millenaria simbologia solare) che scoppiettano creando “scattelle” (scintille rumorose che mettono in fuga le anime malvagie). Tutt’attorno e per la durata della notte, si fa festa e si consumano dolci, vino, ortaggi, carni arrostite, mentre su usci e davanzali, o in cortei improvvisati, si ostentano le grandi zucche scavate, e con candele all’interno, che assumono le sembianze di teste sinistre, le “cocce priatorije”, appunto. Non il fuoco, ma i “fuochi”, quelli pirotecnici, sono i protagonisti della festa che ogni anno, a novembre, incendiano per ore, di giorno e di notte, i cieli di ADELFIA-MONTRONE (BA). Sono in onore del martire Trifone che si guadagnò la nomina a patrono per aver salvato la comunità, a metà Seicento, dal morbo pestifero e poi (come ad Alessano e Cerignola) per aver preservato i campi dal flagello delle locuste la cui sola apparizione era presagio di carestie e morte. Quella di Montrone è una sorta di “campionaria” delle feste, un appuntamento irrinunciabile per tutti i componenti dei “comitati” che così hanno modo di vedere le novità e ingaggiare bande, “fuochisti”, “illuminatori”, “pallonari”, per le celebrazioni religiose dei rispettivi paesi. A Montrone si mettono in mostra anche le “bande da giro” e le luminarie.   Queste ultime assumono bellezza e dimensioni davvero straordinarie con disegni, arabeschi, fiori, architetture in cui la creatività ha davvero libero sfogo, come avviene a COPERTINO (LE) per San Giuseppe (19 settembre) e soprattutto a SCORRANO (LE) per Santa Domenica (6 luglio) dove si allestiscono le luminarie più belle e originali che sia dato di vedere. In alcuni centri della cosiddetta “Albania tarantina” (Faggiano, San Marzano di San Giuseppe, Lizzano, Monteparano) la ricchezza di primizie, pani rituali, dolci di pasta di mandorle e miele, pesci e ogni “ben di Dio” ostentati sui “tauli” (tavoli) di San Giuseppe, ai quali poi ognuno potrà sedersi e condividere, rinvia allo spreco cerimoniale quale elemento necessario della festa, attraverso il quale si esorcizza la fame atavica. A ROSETO VALFORTORE (FG), piccolo e suggestivo centro del sub appennino dauno, il 26 maggio si festeggia il patrono San Filippo Neri con il lancio - al rientro della processione e alla presenza del santo che pare guardare compiaciuto - di pane, formaggio, ortaggi, frutti, dolci sulla folla assiepata sotto il balcone dell’oratorio, mentre dalle fontane sgorga vino e latte: con tale tradizione si ricordano gli interventi miracolosi a sollievo della popolazione rosetana stremata dalle carestie. Difficile dar conto della moltitudine dei “Patroni di Puglia” che compongono un paradiso davvero multietnico perché vede uno a fianco all’altro, in una terra che da sempre è sinonimo di accoglienza e scambi culturali, santi dalle più svariate origini geografiche. Ognuno ha esclusiva “specializzazione” per la cura di mali fisici e spirituali e contro qualsiasi accidente naturale: se Biagio guarisce la gola e le affezioni respiratorie, Donato è invocato contro il “mal di luna”, l’epilessia; Vito protegge dalla corea detta appunto “ballo di san Vito”, e dalla rabbia; Agata, patrona dell’omonimo centro della Daunia e di Gallipoli, città in cui approdò uno dei suoi seni strappati durante il martirio, è invocata per le mastopatie e per la secrezione lattea; Anna protegge le puerpere affiancata, in molti centri salentini, da Santa Marina che squarciò il ventre al drago; Irene solleva la sua mano per fermare piogge torrenziali e fulmini; da peste e colera liberano Rocco e Sebastiano.    La Madonna è la patrona per eccellenza: a FOGGIA con il titolo di Madonna dei Sette veli, come a LEUCA, de finibus terrae; ad ACQUAVIVA DELLE FONTI (BA) come Madonna di Costantinopoli e a CONVERSANO (BA) e FRANCAVILLA FONTANA (BR) come Vergine della Fonte; a MINERVINO MURGE (BA) è detta Madonna del Sabato mentre nella vicina SPINAZZOLA (BT) è venerata come Madonna del Bosco (così come a Panni); a GIOVINAZZO (BA) è detta di Corsignano e a CASTELNUOVO DELLA DAUNIA (FG) della Murgia; è venerata come Madonna di Valleverde la patrona di BOVINO (FG) e dello Sterpeto quella di BARLETTA (BT). Altri titoli attribuiti alla Vergine: Incoronata (Apricena), di Merino (Vieste), Mater Domini (Laterza), della Sanità (Volturara Appula), dell’Alizza (Alezio), della Scala (Massafra), della Palma (Palmariggi), della Coltura (Parabita), della Libera (Rodi Garganico). La protezione sui campi e animali si manifesta in numerose processioni primaverili, stagione in cui le verdeggianti campagne hanno necessità di acque feconde; si attuano con elaborati rituali che prevedono il trasferimento delle sacre immagini dalla città al santuario rurale e viceversa. Un esempio per tutti: la festa del 23 di aprile in onore della Madonna di Sovereto, non a caso invocata quale Madonna dell’acqua: la “tavola” con raffigurazione millenaria della Madonna Odigitria, lascia la città di TERLIZZI (BA) per raggiungere il santuario di Sovereto, dove sosterà per circa tre mesi. La leggenda narra che intorno al Mille un pastorello ritrovò la pecora smarrita, impigliata con la zampa in un fosso; al momento di liberarla si accorse della lampada che ardeva – e siamo al primo prodigio – nell’anfratto innanzi all’icona. Ne nacque una contesa sulla proprietà del sacro tavolo con i vicini bitontini risolta con il ricorso all’ordalia, il giudizio di Dio: assicurati due buoi al carro si pose sopra l’immagine e questa, miracolosamente, si diresse verso Terlizzi, dove fu accolta dal popolo in festa. La leggendaria inventio è celebrata ogni anno con una festa in cui il mitico “carro”, nel frattempo diventato un solenne campanile barocco di oltre 22 metri, porta in trionfo l’immagine nel corso di una festa certamente tra le più belle ed esaltanti cui è dato di assistere in Puglia.    Il “carro” del lavoro contadino, nella versione mitica di “macchina da festa” e del trionfo, caratterizza i festeggiamenti della Madonna del Pozzo a CAPURSO (BA), la cui immagine prodigiosa, dipinta sulle pareti di una dimenticata cisterna, si rivelò a un religioso ammalato che ne ottenne la guarigione; anche la statua di Sant’Oronzo attraversa trionfalmente le vie di TURI (BA) su un carro monumentale trainato da muli bardati. Feste patronali che prevedono l’utilizzo rituale di “carri” per il trasporto delle sacre immagini, si celebrano a SANTERAMO (BA) per Sant’Erasmo (2 giugno); a CASSANO MURGE (BA) per la Madonna degli Angeli (2 agosto); a GALATONE (LE) per il Crocefisso (4 maggio); a TORITTO (BA) per la Madonna delle Grazie e San Rocco (4 e 5 settembre). Carri ornati di frutti, fiori e prodotti della terra, sono allestiti in onore della Madonna di Serritella a VOLTURINO (FG) (prima domenica di maggio) e per San Giovanni Battista a MOTTA MONTECORVINO (FG). Molto spettacolare e originale la processione della Madonna di Mellitto a GRUMO APPULA (BA): il rientro della statua al santuario di campagna, l’ultima domenica di luglio, è accompagnato da decine di elaborati e fantasiosi carri ornati con creazioni di fiori di carta velina”.   È detta “della Coltura” la Madonna venerata patrona a PARABITA (LE): fu riservato a un contadino che arava il suo campo in contrada Pane, il privilegio del rinvenimento della prodigiosa effigie dipinta su un masso. Il trasferimento a CERIGNOLA (FG) della splendida tavola duecentesca della Madonna di Ripalta, miracolosamente rivenuta sulla “ripa alta” dell’Ofanto, avviene subito dopo Pasqua: l’immagine sarà poi riaccompagnata, con lunghissima e devota processione campestre, nel santuario dopo i festeggiamenti patronali dell’8 settembre. Alla fine della siccità che si abbatté nel 1388, si deve il patronato della Madonna di Corsignano su GIOVINAZZO (BA). Il corteo storico e la processione del 21 agosto ricordano, invece, la traslazione in cattedrale, avvenuta nel 1677, dell’antica immagine della Madonna, dipinta su legno di cedro, venerata nell’antico casale di Corsignano dove giunse, secondo la tradizione, nel XII secolo condotta da un crociato di ritorno dalla Terra Santa.   Anche la Madonna di Valleverde, patrona di BOVINO (FG) e che la tradizione vuole giunta dalla Spagna, pose fine alla siccità del 1888; l’evento miracoloso è ricordato ogni anno con la solenne processione del 23 maggio. La Madonna della Fonte la cui immagine fu rinvenuta miracolosamente presso una sorgente del luogo dove poi sorse FRANCAVILLA FONTANA (BR), è detta anche Madonna della Neve: durante una terribile gelata la Vergine protesse gli ulivi che tornarono a germogliare.  Sant’Alberto, patrono di PIETRAMONTECORVINO (FG), salvò la comunità dalla grave siccità del 1889: apparso ad alcuni cittadini, per far terminare il terribile flagello, impose un pellegrinaggio alla vecchia Montecorvino. Da allora, ogni 16 di maggio, la statua del santo vescovo è portata in processione, seguita dal popolo, per i campi verdeggianti di grano, sino all’antica chiesa, a circa sette chilometri; la precedono nel lungo serpentone, i “palii”, altissimi pali ornati di fazzoletti colorati, sollevati e tenuti in equilibrio con l’ausilio di funi.   Analoghe motivazioni agrarie sottendono ai patronati di molti altri santi: trofei di arance, mandarini e limoni ornano la città e la statua di San Valentino, patrono di VICO DEL GARGANO (FG), nel giorno della festa, il 14 febbraio. Il santo martire è invocato a protezione degli agrumeti, alla base dell’economia del centro garganico, da geli e rigori invernali. Dopo la processione, i fedeli s’impossessano dei frutti “benedetti per contatto”, per farne premute salutari. Le feste di altri patroni sono invece collegate ai cicli pastorali e in particolare alle aperture dei pascoli della transumanza: accade per l’arcangelo Michele. La festa dell’8 maggio, celebrata con grande rilievo a MONTE SANT’ANGELO (FG), segnava la data del ritorno delle greggi sui pascoli abruzzesi mentre quella del 29 settembre, si poneva in relazione con l’apertura invernale dei pascoli di pianura. San Michele è venerato come patrono a MINERVINO MURGE (BA) dove nelle viscere del suolo murgiano, una cavità carsica simile alla grotta del santuario garganico, è consacrata al suo culto; furono gli allevatori di bestiame a finanziare, nel 1742, per voto e in seguito all’epidemia che risparmiò le loro mandrie, la bella statua d’argento portata in processione nella festa del 29 settembre. Prende il nome dal martire San Nicandro, la cittadina garganica di SANNICANDRO GARGANICO (FG): furono i pastori abruzzesi a portare le reliquie del soldato romano martirizzato nel 297. Uno speciale legame con la pastorizia e l’allevamento dei buoi, conservano le celebrazioni di San Giorgio a CHIEUTI (FG), piccolo centro alle pendici del Subappennino: nel giorno della festa (23 aprile) ai piedi della statua che lo raffigura su un destriero bianco nell’atto di trafiggere il drago, è deposto un grande “caciocavallo” a forma di tarallo e del peso di circa ottanta chili. Portato in processione, a fine festeggiamenti è distribuito ai fedeli. Le celebrazioni prevedono la sfilata di carri ornati di frasche di alloro e la disputa del “palio” con la corsa di buoi, rievocazione del rinvenimento delle reliquie di San Leo. Dalla cappella del Monte Sambuco è prelevata (29 agosto) la statua di San Giovanni Battista, patrono di MOTTA MONTECORVINO (FG): anche in questo caso il fercolo di fiori che reca il simulacro, è preceduto da aste ornate di fazzoletti variopinti. Molti santuari e luoghi di culto assurgono a importanza devozionale ben ampia, meta, in particolari ricorrenze celebrative, di sentiti pellegrinaggi. Sul Gargano si trovano tre luoghi significativi: il santuario di San Michele Arcangelo a Monte Sant’Angelo, la basilica di san Pio a San Giovanni Rotondo, il santuario di San Matteo a San Marco in Lamis.   I pellegrini, radunati in “compagnie”, salgono al monte soprattutto l’8 maggio, in cui il guerriero celeste mostrò la sua potenza a fianco dei Longobardi di Grimoaldo contro i Bizantini, e il 29 settembre che ricorda la dedicazione della basilica per opera del vescovo Lorenzo Maiorano. Ancora oggi nella festa solenne di settembre, si porta in processione la “sacra spada”, d’oro e preziosi; nel corso della processione si effettuano più soste e l’arcivescovo benedice i presenti con la spada poi ricollocata nella destra della statua. Collegato al pellegrinaggio alla Madonna dell’Incoronata, nell’omonimo bosco alle porte di FOGGIA, è la tradizione della “cavalcata degli Angeli”: giunti nel grande spiazzo del santuario i pellegrini ricordano, l’ultimo venerdì del mese di aprile, con semplici drammatizzazioni, la discesa degli angeli nel bosco per incoronare con tre diademi d’oro la Madonna. Decine di bambini su carri addobbati e vestiti da angeli, ma anche da profeti, santi, madonne, compongono quadri sacri viventi, ispirati ai miracoli della Vergine e a scene del vecchio e nuovo Testamento. Il pellegrinaggio a San Rocco, venerato a TORREPADULI (LE) frazione di Ruffano, assume aspetti spettacolari: la notte tra il 15 e il 16 agosto, mentre all’interno della chiesa si cerca il contatto con il santo a cui un cane lecca la ferita della gamba, all’esterno si formano capannelli di curiosi per assistere e incitare, al ritmo sempre più incalzante dei tamburelli, i contendenti che danno vita alla frenetica e ormai rituale “danza dei coltelli”, simulando, con le movenze della “pizzica”, antiche rivalità tra clan. Cammini devoti hanno come meta il santuario della Madonna di Montevergine, posto nelle campagne di PALMARIGGI (LE) (7 maggio).   La cittadina è nota per il culto delle “due Madonne” perché si venera come patrona anche la Madonna della Palma: le due Madonne si “incontrano” e sfilano insieme in processione. Notevole rilievo conserva il pellegrinaggio al santuario della Madonna di Leuca, al CAPO DI LEUCA (LE), estrema punta della Puglia: le “vie della fede” sono presidiate da cappelle, ristori e luoghi di sosta.   Il mare è l’altro grande riferimento mitico, simbolico, economico e culturale della Puglia che ne è lambita  in lungo e in largo. Non si contano i luoghi del passaggio, reale o leggendario, di Simone il pescatore, novello Enea, da Cristo fatto kefâs, che in aramaico e anche ebraico significa “roccia-pietra”, della sua Chiesa. A cominciare da OTRANTO (LE), la più orientale delle città d’Italia e porta d’Occidente. Al principe degli apostoli, fondatore di comunità convertite e di diocesi, sono dedicate chiese e cappelle. Insieme a San Paolo, il santo con le chiavi è patrono di GALATINA (LE) città che custodisce e venera ancora, nella cattedrale, la pietra dove il santo si sarebbe seduto per riposare; san Paolo, invece, nella stessa cittadina, operò il miracolo della guarigione ai morsicati da animali velenosi (serpenti, tarantole): la sua festa, a fine giugno, vede rinnovarsi una delle più antiche e ancestrali lotte tra il bene e il male, quest’ultimo rappresentato dal morso letale della taranta cui unico salutare antidoto è costituito dalla parossistica danza sino allo sfinimento. I pericoli dicevamo: Otranto serba il ricordo della sanguinosa battaglia con i turchi che nel 1480 decimò la popolazione. Ottocento furono i “beati martiri” di quella carneficina destinata all’epica cristiana: i macabri resti, accatastati e a vista, sono offerti alla pubblica venerazione in enormi stipi nella cattedrale idruntina, monumento di rara bellezza.     La “scamiciata” a FASANO (BR) commemora un’altra incursione mussulmana e celebra la vittoria ottenuta per intervento divino il 2 giugno 1678: si tiene la terza domenica di maggio, in occasione della festa patronale della Madonna di Pozzo Faceto e dei Santi Giovanni Battista e Stefano. A ORIA (BR) centinaia di figuranti danno luogo al corteo storico e al “torneo dei rioni”; esso trae origine dal bando di un torneamento che l’imperatore svevo emanò nel 1225, durante un periodo di permanenza nella cittadina, che mostra con orgoglio monumenti e ricordi di quella fase storica tra cui il poderoso e ancora intatto castello. Il corteo storico di BITETTO (BA), con decine di figuranti in abiti rinascimentali (25 aprile-2 maggio), ricorda la particolare venerazione del duca d’Atri e signore del feudo, Andrea Matteo Acquaviva, per il frate del locale convento francescano, Giacomo Varingez, beatificato nel 1700: all’umile “beato Giacomo” sono attribuiti numerosi miracoli e la protezione della cittadina dalle epidemie pestifere del 1483, quando era ancora in vita, e del 1656. Patrono principale di Bitetto è San Michele Arcangelo nel corso della cui festa (29 settembre) è portata in processione, dopo il rito della consegna delle chiavi, la statua d’argento, opera del 1719 di Andrea De Blasio. Dal mare giunge, il 14 giugno, prelevato dal santuario nel villaggio che ne porta il nome, San Vito: lo sbarco, la processione per le suggestive vie di POLIGNANO A MARE (BA), poi il momento clou quando la statua del santo giovinetto, nella commozione collettiva, “ascende”, perché letteralmente portato in alto da ingegnose carrucole, nella fastosa “macchina” trionfale, ogni anno allestita nella piazza principale. Alle ore 15,00 in punto dell’8 settembre, gli uomini di mare reclamano con energico frastuono, la statua della Madonna dei Martiri, patrona di MOLFETTA (BA), quasi a rapirla dai frati della basilica. Imbarcata sulle “bilancelle”, le tre barche estratte a sorte su cui è issato il “trono”, compie il giro sullo specchio di mare antistante la città, mentre i giovani si tuffano in suo onore dando luogo a spericolate evoluzioni. A sera lo sbarco al molo: è l’apoteosi della Vergine che, completamente rivestita d’oro e preziosi donativi, raggiunge in processione la cattedrale, in un clima d’esaltazione collettiva.     Ancora il mare e un’antica immagine della Madonna sono i protagonisti della festa di MONOPOLI (BA), importante città marinara e commerciale. La leggenda narra del prodigioso arrivo di una tavola dipinta della Vergine su una sorta di zattera, da qui il nome di Madonna della Madia, con il prezioso carico di travi occorrenti alla copertura della cattedrale. La Vergine patrona preservò la città da pestilenze e carestie. Ogni anno vescovo, clero e confraternite si recano sul porto per accogliere il quadro della Madonna mentre la città esplode nel giubilo per il rinnovarsi del miracolo (due le date: 16 dicembre e 15 agosto).  Numerose “sagre a mare” in onore della Madonna hanno luogo in altri centri rivieraschi: tra queste a TORRE VADO (LE), nel comune di Morciano, l’11 agosto per la Madonna Stella Maris, alle ISOLE TREMITI (FG) in onore dell’Assunta. A PORTO CESAREO (LE), il 19 agosto, una considerevole flottiglia di pescherecci e natanti turistici, scorta le due distinte imbarcazioni su cui sono portati in processione i simulacri della Madonna del Perpetuo Soccorso e di Santa Cesarea. Dal mare approdarono e sulle acque sono portate in processione le reliquie e la statua del patrono di BRINDISI, San Teodoro: la suggestiva processione si tiene la prima domenica di settembre. Si festeggia anche l’altro patrono, l’autoctono San Lorenzo da Brindisi, frate cappuccino, canonizzato nel 1881.     Versione femminile di san Sebastiano è Santa Cristina, compatrona di GALLIPOLI (LE): appena ventenne fu martirizzata, dopo essere stata legata a un albero, trafitta dalle frecce. È patrona degli uomini di mare e della pesca e il giorno della sua festa la processione “per mare e per terra” prevede l’imbarco della statua al porto per il periplo dell’isola su cui sorge Gallipoli antica e, dopo lo sbarco, il percorso lungo gli ariosi corsi della città nuova sfarzosamente ornati dalle luminarie che formano mirabili e originali scenografie di luci. La “sagra di maggio” in onore del patrono di BARI san Nicola, prevede la rievocazione storica dell’arrivo delle reliquie del santo trafugate nel 1087, da impavidi marinai baresi, a Myra, e la consegna ai frati custodi della basilica ove ha luogo, presieduto dall’arcivescovo, il rito del prelievo della “manna”, il liquido miracoloso che sgorga dalle ossa del santo. L’8 maggio si rinnova la processione a mare della statua tra salve di mortaio e fuochi d’artificio. In occasione di tali celebrazioni l’arrivo continuo di fedeli specie dalla Russia e dall’Est europeo, ci ricorda che Bari con la basilica nicolaiana è l’altro grande terminale in Puglia, del pellegrinaggio.     Ancor più esplicito il legame di san Cataldo con i pescatori tarantini: narra la leggenda che il vescovo irlandese giunto a TARANTO, fu accolto dal mare in tempesta che subito placò gettando tra le onde il suo anello. L’evento è rievocato ogni anno, l’8 maggio, con la processione a mare: la statua d’argento, issata su un’imbarcazione pavesata a festa, attraversa le acque antistanti alla città e riceve l’omaggio, da terra e da mare, di tutta la popolazione. Non per mare ma sul grande lago salmastro ai piedi del Gargano, è portata in processione la statua, opera pregevole di Giacomo Colombo, di san Primiano patrono di LESINA (FG). Le celebrazioni del giovinetto martirizzato, insieme a Firmiano e Casto, a Larino, si terminano, l’ultima domenica di maggio, con la processione dei pescatori che dopo aver preso in consegna l’immagine, danno luogo alla suggestiva regata con le tipiche imbarcazioni lacustri dette “sandali”, suggellando della protezione sulla pesca, voce principale dell’economia di Lesina.    Forse a difesa del prezioso simulacro di sant’Oronzo, patrono di Ostuni (BR), commissionato dalla famiglia Sansone, fu istituita la tradizionale cavalcata che accompagna la statua del santo nella processione del 26 agosto: decine di cavalli e cavalieri scortano la preziosa immagine ornati di nastri, gualdrappe, indossando sfarzosi costumi ricchi di ricami e lustrini in una processione variopinta ed esuberante che ben si presta a essere sintesi delle celebrazioni festive della Puglia

CATTEDRALI DI LUCI

di Vito Maraschio     Non solo bande, processioni e fuochi d’artificio per le strade in festa... in Puglia gli addobbi luminosi hanno un ruolo importante. L’arte luminaria qui è protagonista due volte: per la bellezza delle piazze illuminate, e perché le aziende che rendono possibile questo spettacolo sono pugliesi. Molte operano in Italia e non solo, alcune con più di un secolo di esperienza alle spalle. Un mix di tradizione e innovazione, un mestiere fatto di materiali tecnologici e sistemi artigianali. Qualcuno ricorda commosso i tempi in cui le coreografie si componevano di lumini a olio. Fu poi il momento dell’illuminazione a gas acetilene, poi le tante piccole lampadine, uno sviluppo culminato con le moderne tecniche a laser e led.   Solo l’ingegno, la creatività e la passione per quest’arte hanno portato queste imprese a farsi un nome importante nel mondo, esportando questo autentico “made in Puglia”. {IMAGE_0}{IMAGE_1} Queste strutture lignee, illuminate da luci colorate, affondano le loro radici nella tradizione romana e, nel tempo, si sono trasformate nella forma, nei colori e nei materiali a seconda delle culture con cui sono venute a contatto e a seguito del progresso tecnico. Gli archi e le strutture di legno aggiungono ai disegni i lumini ad olio che, successivamente, diventano a petrolio e poi lampadine elettriche. Le “luminarie” riproducono disegni legati a motivi religiosi, facciate di chiese e tipici elementi decorativi presenti all’interno dell’edilizia sacra. Poi incominciano ad abbinare schemi e colori simili a tappeti di evidente richiamo arabeggiante. Oggi al legno si sono aggiunti altri materiali, la luce ha acquisito la tecnologia del led e del laser e l’accensione si è arricchita di luce, musica e fuochi pirotecnici legati insieme da un ritmo intermittente.   {IMAGE_2}{IMAGE_3} La tradizione, però, regna sovrana lasciando intatta la natura artigianale che trova la sua massima evidenza in impalcature che arrivano a trenta metri di altezza senza un chiodo, un bullone, una vite, ma tenute insieme solo dal filo di ferro e da un sistema di scaricamento dei pesi che ricorda il modello di costruzione delle volte in pietra.   Le “luminarie” sono dell’Italia Meridionale, ma trovano nel suggestivo borgo di Scorrano nel Salento, capitale mondiale delle luminarie,  una forma esaltante per le ditte locali, eredi di una storia antica, che portano questa espressione della bellezza italiana in tutto il mondo.

LA MUSICA

È quasi mezzanotte, le grandiose luminarie accese per onorare la Santa Patrona di Conversano (Bari), la Madonna della Fonte (penultima domenica di maggio), illuminano a giorno la piccola piazzetta davanti al Municipio. Devoti e curiosi, gli uni stretti vicini agli altri quasi fossero una sola e grande famiglia, attendono che la banda scenda dalla Cassa Armonica perché si compia quel rito che segna la fine della festa.   {IMAGE_1}{IMAGE_2} Un rito che riporta alla memoria le gestualità di una tradizione, segno di quel senso di appartenenza a una terra, la Puglia, fatta di pane e olive nere. Il suono racchiuso dentro le finte mura delle cassa armonica adesso è libero, viaggia al passo deciso dei musicisti che nella bella divisa bianca si fanno spazio tra i volti sorpresi di chi per la prima volta ha colto l’essenza della banda da giro.   Ecco "Vita Pugliese", note di una marcia sinfonica (del Maestro Giuseppe Piantoni) che porta con sé la storia di un popolo, come quello conversanese, che ha “la banda in testa”, nel senso che è proprio fissato per la banda con “La Grande Orchestra di Fiati Gioacchino Ligonzo - Città di Conversano” e lo “Storico Grande Concerto Bandistico Città di Conversano - Giuseppe Piantoni”.   Lecce, Squinzano (LE), Manduria (TA), Francavilla Fontana (BR), Acquaviva delle Fonti (BA), dove troviamo altre e importanti realtà bandistiche, la banda da giro porta con sé, in giro per i paesi d’Italia e all’estero, un pezzo di Puglia e tanto basta per rendere omaggio ai “nomadi del pentagramma”, come poeticamente definisce i bandisti Bianca Tragni, prima storica delle bande da giro di Puglia.   {IMAGE_3}{IMAGE_4} Oggi musicisti professionisti, ma un tempo erano artigiani, contadini, commercianti istruiti dai maestri di cappella per suonare la grande musica che per la prima volta fuoriesce dalla nicchia e diventa popolare.   Tornando indietro nel tempo possiamo ricordare quella di Terlizzi (1773), siamo nel secolo francese quando piccole bande nascono sull’esempio delle bande militari, ma non hanno ancora un direttore stabile. Il primo Maestro concertatore arriva nel 1780 con la banda di Orsara di Puglia (FG), ma la prima grande banda di Puglia nasce nel 1797 ad Acquaviva delle Fonti, diretta da un carbonaro antiborbonico, Iacobellis.    “Anche a Conversano (BA) c’è fermento musicale – ha spiegato il professor Ruggero Chiummo – il Comune istituzionalizza la banda con un atto notarile nel 1832 (conservato nell’Archivio storico di Conversano, una copia è attualmente in mostra al Castello), nasce così lo Storico Concerto Bandistico Municipale e la affida al maestro di cappella Vitantonio La Volpe con una richiesta ben precisa: coinvolgere i giovani da istruire alla musica. Dunque la banda assume anche un ruolo educativo.   Nel 1871 il Comune fa disegnare la prima divisa ufficiale e nel 1881, invece, riconosce alla banda un sussidio purché al suo interno coinvolga musicisti conversanesi particolarmente dotati, in numero non inferiore a 30 e che si impegnino in concerti domenicali in piazza o nelle grandi festività religiose”. Solo la peste e i moti popolari - dal 1884 al 1886 - fermano l’attività della banda che riprende con vigore nel 1890, dunque diversamente che altrove la banda di Conversano è l’unica a seguire un percorso lungo quasi un secolo contraddistinto da investimenti e innovazioni. Nel 1923 nasce anche l’associazione Probanda per aiutare il Comune a sostenerla.     Finisce l’epoca del dilettantismo, d’ora in poi la banda viene affidata a Maestri concertatori di comprovata capacità come Franco Galeoni (primi anni 20 del novecento) e il grande Giuseppe Piantoni (1925). Allievo di Mascagni porta la banda al grande splendore con una serie di innovazioni: i bandisti diventano 60 e riequilibra il complesso aumentando il numero dei legni rispetto agli ottoni.     Dopo la sua morte subentra un altro grande Maestro, Gioacchino Ligonzo (1950), la sua eredita è stata raccolta dal Maestro Angelo Schirinzi che con il nuovo gruppo bandistico fondato dallo stesso Ligonzo: “La Grande Orchestra di Fiati Gioacchino Ligonzo – Città di Conversano”, ha portato la banda a un nuovo livello (Festival Bandalarga, fine luglio inizio agosto) con l’obiettivo di coinvolgere un pubblico più giovanile.   La banda è un valore musicale e culturale per la Puglia intera.

LE STELLE DI FUOCO

La pirotecnica trova in Italia una forte identità, conosciute in tutto il mondo la "scuola italiana" dei Ruggeri a Bologna già nel XVII secolo o l’attuale "scuola napoletana", per la spettacolarità dei loro fuochi. Un’arte, più ammirata che documentata, misteriosa nei segreti custoditi gelosamente dai maestri e tramandati di padre in figlio. La Puglia vive attivamente questa passione a partire dalla produzione, aziende che da generazioni producono fuochi artificiali, metodi tradizionali e idee innovative, prestigio e competizione portano le famiglie di fuochisti a inventare sempre qualcosa di nuovo come la Pirotecnica Chiarappa di San Severo (fg). Una formula chimica, una miscela esplosiva che si trasforma in scoppi, luci e colori. Un involucro di cartone riempito di tante palline, chiamate "stelle" in gergo, proprio per la loro capacità di bruciare creando fiamme colorate nel cielo. Durante le feste pugliesi diversi i momenti della giornata in cui il ruolo dei fuochi è fondamentale.   {IMAGE_1}{IMAGE_2} Nei giorni di festa a volte si spara qualche colpo già al mattino, per ricordare che è un giorno speciale; fuochi per indicare l’inizio, la fine o il passaggio in un luogo particolare di una processione; ma il momento in cui diventano veri protagonisti è lo spettacolo che avviene in genere la sera, a conclusione dei riti religiosi.   Tutti con le teste all’insù per ammirare quelle "stelle cadenti", esplosioni di colori nel cielo capaci di far sognare grandi e piccini. I maestri pugliesi sono in grado di affascinarci con fuochi pirotecnici, fuochi d’artificio scenografici e piromusicali, palloni aerostatici e mongolfiere. Bombe da tiro, granatine, bombe giapponesi e con paracadute, bombe a più spacchi e colpo scuro, pioggia dorata o luccicante, solo alcuni degli effetti speciali in grado di sorprenderci prima del gran finale.   Sì, perchè il momento più emozionante è proprio il finale, un’intrepida successione di scoppi e luci intermittenti, i fuochisti possono mostrarsi in tutta la loro bravura fino a meritarsi, dopo l’ultimo colpo ancora fumante, gli applausi del pubblico impazzito dall’entusiasmo.   Un’esperienza unica e imperdibile nello splendido scenario delle città pugliesi in festa. Appuntamento per gli appassionati di tutta Italia è l’avvincente gara tra maestri fuochisti a Adelfia in onore di San Trifone.   {IMAGE_3}{IMAGE_4} Particolarmente suggestivo lo spettacolo pirotecnico nello scenario del Castello Angioino a Gallipoli per la patrona Santa Cristina, o "le batterie" in onore di San Nicola a Bari sul lungomare tra gli applausi dei devoti.   Esaltante la "festa del fuoco" in onore del patrono sant’Antonio Abate a Novoli (le), in cui l’accensione della "focara" avviene proprio attraverso un tripudio di fuochi pirotecnici.   Molte sono le occasioni in Puglia per vivere un’esperienza indimenticabile... non resta che l’imbarazzo della scelta.

I SAPORI

  Il viaggiatore che arriva in Puglia dovrà lasciarsi trasportare dagli aromi e dagli antichi sapori dei piatti della grande tradizione pugliese, piatti in cui si fondono le tradizioni della civiltà contadina con il fascino del mare.   Olio, olive, verdure, farinacei sono i capisaldi della cucina locale, una cucina mediterranea fatta di prodotti naturali di stagione accompagnata da saporiti aromi e spezie, basilico, capperi e origano.   Protagonista indiscusso l’olio extravergine d’oliva, un prodotto capace di esaltare anche i cibi più poveri, come la celebre bruschetta o “frisedda”, ciambella cotta al forno e condita con sale, olio, pepe, pomodoro e cipolla. Alimento culto della regione è il pane, nelle sue varietà di forme tradizionali, “sckuanete”, “muedde”, tutte rigorosamente cotte nel forno a legna.   Tipiche sono poi le “pucce” o “uliate”, nel Leccese, pani con olive “norchie”, rigorosamente con il nocciolo. Una fragranza indimenticabile è quella poi offerta dal profumo della focaccia appena sfornata, condita con olio e pomodorini, spesso completata aggiungendo all’interno dell’impasto ingredienti che spaziano dalle verdure all’acciuga, dalle olive farcite alla carne, dal salame al merluzzo, dalle cipolle al tonno.   Trionfa, nella preparazione dei primi piatti la pasta fresca; tradizione tutta al femminile, arte trasmessa di madre in figlia, ottenuta preparando con abili movimenti delle dita l’impasto: orecchiette, cavatelli, troccoli, sagne ncannulate, “strascenate”, “mignuicchie”, e altri formati conditi con il ragù ricavato dalle “braciole”, involtini di carne di cavallo o di manzo, ripieni di formaggio pecorino, lardo, prezzemolo, o accompagnate dalle verdure.   {IMAGE_1}{IMAGE_2} ccanto al celebre piatto delle orecchiette con cime di rapa e acciughe sciolte nell’olio e aglio, le gustosissime pasta e cime di broccoli, pasta e cavoli, maccheroni e melanzane, pasta e purea di fave, spaghetti e cicoria, pasta e rucola, fiori di zucchine con pasta e pomodoro, fave e cicoria. Gli ortaggi spesso diventano conserve, da poter gustare tutto l’anno: verdure sott’olio, sott’aceti, olive e pomodori secchi.   La ricca costa offre poi alla cucina pugliese pesce per ogni stagione: dai polipetti baresi “arricciati” alle alici; dal pesce più povero, che nelle zuppe diventa un’armonia di sapori come il popolare “ciambotto”, agli squisiti frutti di mare.     Tubettini con le cozze, impepata di cozze, cozze “arracanate” coperte con mollica di pane, o la “tiella”, nome che indica sia il contenitore che la minestra, per certi versi affine alla paella spagnola, con una copertura di fette di patate su riso, cozze e altri ingredienti, cotta in coccio e al forno; sughetti “allo scoglio”, polipi alla griglia, seppie ripiene e altro ancora portano in ogni occasione il mare in tavola.   Per gli amanti della carne non mancano i prodotti: salsiccia a punta di coltello della Murgia, zampina, “gnumeridd”, interiora d’agnello tagliate a striscette e strette a gomitolo, la “quagghiaridde”, ventricina di montone ripiena di frattaglie unite a scamorza, uova, salame, “braciole di cavallo” e salumi vari sono solo alcune delle bontà da assaporare, così come le preparazioni a base di uova e agnello del periodo pasquale.     {IMAGE_3}{IMAGE_4} Da non dimenticare la ricca produzione casearia, fiore all’occhiello della gastronomia pugliese, soprattutto nel campo dei formaggi freschi. Le mozzarelle, le trecce, i bocconcini, i burrini e soprattutto la “manteca”, cacio fresco avvolta a palla attorno a un nucleo di burro. E poi che dire dei prodotti dolciari pugliesi, che racchiudono tradizioni millenarie, dolci spesso fatti con dolcificanti naturali quali il vin cotto di fichi o la pasta di mandorle, usata per i dolci di marzapane.     Le “Cartellate”, condite col miele e col vin cotto, i “Mostaccioli”, i “Calzoncelli” ripieni di marmellata di fichi, le “Castagnelle” di mandorle dolci pugliesi; le “Mandorle atterrate” infornate e poi immerse nella cioccolata bollente; i “Taralli neri” impastati con zucchero e vin cotto, le zeppole di San Giuseppe ripiene di crema ed amarena, le Scarcedde o Scarcelle.   Il tutto accompagnato da un ottimo vino, molte le possibili scelte: “Aleatico di Puglia”, “Nero di Troia”, “Salice Salentino” e “Primitivo di Manduria” sono solo alcuni dei DOC made in Puglia.   Dalla cucina pugliese scaturiscono profumi, sapori, emozioni.

LA PUGLIA AUTENTICA

Ponte naturale tra Oriente ed Occidente, la Puglia, regione del Sud Italia, protesa nel Mediterraneo con i suoi trecento chilometri di costa lambiti dal Mar Adriatico e il Mar Ionio, è da sempre popolo di viaggiatori, di santi e di marinai.   Terra dalle morbide colline, dalle macchie di boschi e uliveti che spaziano fino all’orizzonte; ricca di borghi, trulli, torri saracene, castelli, illuminata dall’intenso blu del mare, che l’Unesco ha premiato inserendo quattro siti, unici nel loro genere, nell’elenco dei beni patrimonio dell’Umanità.   Il Castel del Monte ad Andria, Patrimonio UNESCO fin dal 1996, costruito per volontà dell’imperatore Federico II di Svevia, fortezza a forma ottagonale, capolavoro unico dell’architettura medievale.   I Trulli di Alberobello, uniche e caratteristiche costruzioni in muratura a secco conosciute in tutto il mondo, inseriti nell’elenco nello stesso anno del Castel del Monte.   {IMAGE_0}{IMAGE_1} Il Santuario di San Michele Arcangelo sulle pendici del Gargano, uno dei santuari più importanti di tutta la Puglia, meta di pellegrinaggi di fedeli provenienti da tutto il mondo, inserito nel Sito seriale “I Longobardi in Italia” UNESCO nel 2011.   Ed infine le Faggete Vetuste della Foresta Umbra, entrata a far parte della prestigiosa lista nel 2017 nel Bene transnazionale “Antiche faggete primordiali”.   La Puglia è un luogo dove ogni viaggiatore, passeggiando per i vicoli dei centri storici, percepisce la ricchezza della storia e conserva nella propria memoria colori che non aveva mai visto così vivaci: il blu profondo del mare, il verde degli uliveti e vigneti, il rosso rubino dei pomodori maturi, l’oro del grano, il bianco candido del latte.   {IMAGE_2}{IMAGE_3} Le antiche tradizioni contadine, i culti della terra mescolati a quelli del mare, hanno creato, attraverso i secoli, uno straordinario mix di devozione popolare e di spettacolari percorsi di fede attorno a santuari, cattedrali, cammini dello spirito.   Tradizione, folklore, arte e spiritualità si susseguono in un ricco calendario di eventi emozionali da gennaio a dicembre: dagli eventi processionali pasquali della “Settimana Santa in Puglia”  alle feste patronali dei “Patroni di Puglia”; dalla magia del “Natale in Puglia“ ai “Cammini dell’Anima” della Via Francigena e dei luoghi di culto alle tipicità enogastronomiche.   Eventi e luoghi che offrono, ai viaggiatori in Puglia, un’esperienza unica ed indimenticabile sotto l’aspetto storico, artistico, culturale e antropologico, in cui vivere per scoprire quella che è la loro anima.  

I LUOGHI

Dal Gargano allo Ionio, tra bellezze nascoste, paesaggi incontaminati, riti arcaici e tradizoni, le comunità locali vi accoglieranno e vi accompagneranno alla scoperta di usi e costumi genuini, di culture materiali e immateriali dal valore inestimabile.   Un filo narrativo offertovi per scoprire l'animo più autentico della nostra terra, per un'esperienza di viaggio indimenticabile da vivere tutto l'anno. La rete degli esclusivi borghi di Pugliautentica.it invita ad un percorso di conoscenza che fissa nella memoria del viaggiatore il ricco patrimonio di memorie, di tradizioni popolari, di identità culturali, che ancora oggi caratterizzano fortemente la Puglia.   Sempre più amata dai turisti, la Puglia terra e mare stesa al caldo sole mediterraneo per buona parte dell’anno, terra di silenzi e di maestosità, abitata fin dall’epoca preistorica, conserva intatti I suoi gioielli nel silenzio delle terre popolate di ulivi e di trulli, avvolta da un mare che la lambisce su tutto il suo perimetro.   Menhir, dolmen, diffusi in tutta la regione, dalla Capitanata al Tavoliere dlla Terra di Bari al Salento e alla Magna Grecia testimonianze di una terra favorevole all’insediamento umano e alla convivenza fra popoli e di popoli di stirpe diversa. I Dauni, i Peucezi e i Messapi, con le loro misteriose stele, e con gli elaborati oggetti in metallo e ceramica che arricchiscono di incredibili tesori I tanti piccoli musei archeologici pugliesi.   {IMAGE_0}{IMAGE_1} La Puglia nasconde, nelle profondità del suo terreno carsico, un misterioso mondo sotterraneo di grotte marine, labirinti di stalattiti e chiese rupestri. Roccia carsica, cave e case di pietra, muretti a secco e nel centro, nel cuore della Puglia, il paradiso della Valle d’Itria, con il susseguirsi di campi, orti, mandorli e uliveti, vigneti e fitti boschi mediterranei in un miscuglio esplosivo di colori e odori.   Questa dorsale carsica che si estende da Nord a sud fin nel Salento è la Murgia. Terra di coloni provenienti dalle vicine coste della Grecia e luogo di insediamento romano e di campagne belliche scandite da episodi di tono epico, si alternarono, sul territorio pugliese, bizantini, longobardi e arabi, Bari divenne capoluogo di un dominio esteso sino alla Lucania e sottoposto all'autorità di un governatore bizantino, il catapano, di cui si ha ancora memoria nella toponomastica cittadina.   Terra di passaggio per commercianti, pellegrini e crociati diretti in Terra Santa, attecchirono in Puglia cultura e religiosità orientali, che lasciarono tracce durevoli nella religiosità, nel culto e nell'architettura locali.   {IMAGE_2}{IMAGE_3} La Puglia toccò l'apice nel progresso materiale e civile con Federico II di Svevia, che la volle sua terra d’elezione e a cui si deve la realizzazione di edifici laici e religiosi di alto valore artistico. Pianure costellate di campi di grano, di vigneti e di ulivi, primato nella produzione del grano e dell'olio fin dal medioevo, la Puglia divenne tramite degli scambi tra Roma e l'Oriente.   La sua vocazione agricola e allo stesso tempo la sua apertura verso le altre terre e gli altri popoli rimarrà costante tangibile nei suoi luoghi dove a lande pietrose di una solitudine metafisica si alternano lussureggianti campi coltivati e colline piene di boschi dell’Appennino Daunio; a cittadine dall’aspetto orientaleggiante la cui conformazione urbanistica reca i segni inequivocabili della cultura urbana araba si contrappongono le severe maestosità dei castelli e dei manieri come Castel del Monte, la grande fortezza dell’Imperatore Federico II e le imponenti cattedrali romaniche.   Avvolta come un isola da un mare cristallino che si infrange sulla frastagliata costa rocciosa e sulle spiagge sabbiose, domina, su tutto, il promontorio del Gargano a Nord, lo sperone d’Italia a cui fa eco il Salento a Sud.   Qui sulla punta più estrema dello stivale dove si incontrano il Mar Jonio e l’Adriatico, in un luogo chiamato “finis terrae” - fine del mondo - le diverse anime della Puglia affiorano come maschere in tutta la loro umanità agli occhi del viaggiatore e del visitatore attento, mentre su tutto vibra il ritmo incantatore del tamburello, la musica della Puglia. dott.ssa Lucia Avellis

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2023-06-05

Frantoio Paparella

All’ombra di ulivi secolari e nel cuore del Tavoliere di Puglia nasce nel 1891 il Frantoio Paparella a Barletta (bat). Un luogo in cui le radici e le tradizioni si intrecciano virtuosamente con l’innovazione nei processi di trasformazione e l’attenta selezione dei frutti migliori. Il Frantoio è attualmente dotato di 5 linee di estrazione e trasformazione che consentono di raggiungere una capacità di produzione pari a circa 200.000 tonnellate di olive per stagione. Gli investimenti per il miglioramento della qualità e della quantità di estrazione sono costanti e si concretizzano nell’implementazione di nuovi macchinari di anno in anno. Grande attenzione è destinata a tutte le fasi produttive, dalla raccolta delle olive allo stoccaggio dell’olio; durante tali processi l’oliva viene selezionata e seguita fino alla sua trasformazione in un prodotto di assoluta eccellenza, sotto l’attenta supervisione della proprietà e numerosi panel test tenuti da assaggiatori professionisti. {IMAGE_0}{IMAGE_1} L’olio extra vergine di oliva molito da Frantoio Paparella è estratto a freddo mediante metodi meccanici ed altamente innovativi ad una temperatura mai superiore ai 27°C, da olive italiane coltivate in Puglia. Le olive sono trasformate direttamente presso il frantoio entro massimo 12 ore dalla raccolta conservando perciò tutte le caratteristiche chimico-fisiche dell’olio ed evitando ossidazioni. Giunto al suo 130° anno, il Frantoio Paparella guarda al futuro con la fiducia di chi crede che la qualità sia l’unica scelta per un futuro più buono e sostenibile. Ad oggi i principali scarti di produzione ovvero la sansa e il nocciolino di sansa vengono utilizzati per alimentare parte del ciclo produttivo. Il Frantoio adotta l’approccio dell’economia circolare ed è impegnata nel realizzare una produzione ad impatto ambientale 0 in ottemperanza agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell'Agenda 2030. L’olio extra vergine di oliva “LÓLIO Intenso Monocultivar Coratina” è l’essenza della tradizione, dei sapori e dello stile di vita pugliese. Ricavato dalla selezione accurata delle migliori olive della tipica cultivar pugliese denominata “Coratina”. “LÓLIO Intenso - Monocultivar Coratina” si presenta all’osservatore dal verace colore verde, come le olive dalle cui viene estratto. Al gusto mostra carattere ed eleganza, regalando e note intense e fruttate per dal retrogusto deciso e piccante. Il sapore amarognolo dell’olio extra vergine di oliva estratto dalla cultivar “Coratina” è indice dell’altissima concentrazione di polifenoli, potenti antiossidanti ed infiammatori. L’olio extra vergine di oliva “LÓLIO Fruttato” è una magica armonia di sapori e sentori di Puglia. Ricavato da una sapiente selezione di cultivar pugliesi come Peranzana, Coratina, Ogliarola e Leccino, LÓLIO Fruttato si presenta dal vivace colore verde esaltato da brillanti riflessi giallo intenso. LÓLIO Fruttato riesce a convincere tutti i palati. All’assaggio l’olio propone un bouquet fragrante e completo, dal carattere leggero ed equilibrato, caratterizzato da un basso contenuto di acidità.

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2021-04-30

L'Antica Cantina San Severo

“Devi amare ciò che fai per volerlo fare ogni giorno” Con questo amore si raggiungono i traguardi!!!!!  Nella foto non trovate il produttore, il presidente, un capo. Trovate lo spaccato di una comunità… La nostra!"   Una cantina quasi centenaria e un territorio naturalmente vocato per la produzione di vini ricchi e pregiati. Basterebbero questi elementi per descrivere L'ANTICA CANTINA DI SAN SEVERO (fg) una delle realtà vitivinicole pugliesi più dinamiche e longeve della regione.    A raccontarci la storia dell’Antica Cantina è Ciro Caliendo, presidente dell’azienda che incontriamo nello stabilimento di San Severo. Alle sue spalle, come accaduto già numerose volte per altre attività storiche come questa, c’è una parete affollata di premi e riconoscimenti, molti dei quali sono dei veri e propri reperti storici.   L’Antica Cantina di San Severo è in realtà una cantina sociale nata nel 1933 e, proprio come fosse una vite, affonda le sue radici nella cultura e coltura locale. Non a caso San Severo nel 1968 ha visto riconoscersi la prima DOC pugliese, segno tangibile di una consuetudine contadina e vignaiola che definire millenaria è riduttivo.   Punto di forza della produzione dei vini dell’Antica Cantina non è soltanto il lavoro sinergico e congiunto con i suoi soci che conferiscono le uve di qualità, ma è anche rappresentato da un migliaio di ettari coltivati secondo un sistema di certificazione aziendale e di tracciabilità che contribuisce a produrre vini che rappresentano la sintesi armonica, gioiosa ed elegante delle tipicità di questa terra.   Nella fertile Daunia ha preso vita il sogno di tanti agricoltori: offrire al consumatore le sensazioni che esprimono al tempo stesso la piacevolezza e la passione che la terra di San Severo offre.  E’ il modo per conoscere la nostra storia e la cultura del territorio, verso cui tutti gli abitanti del posto nutrono una passione sconfinata, la stessa che c’è nel San Severo DOP. {IMAGE_0}{IMAGE_1} Il San Severo Bianco già nel 1932, fu riconosciuto come tipicità locale. Il Castrum San Severo Bianco è formato da un blend di Bombino, Trebbiano e un tocco di Malvasia. Il Rosso ed il Rosato completano la proposta del San Severo DOP. Il Castrum Rosso è un vino dalla giusta struttura. Sprigiona profumi di prugne e amarena che si fondono con il floreale della viola e del ciclamino. Il Castrum Rosato” con la sua delicatezza offre un bouquet fruttato, intenso, con sentori di pesca per soddisfare anche il palato dei più sensibili.   Con la linea Nobiles troviamo i varietali tipici. Nobile e positivamente austero è il Nobiles IGP ottenuto da uve di Nero di Troia, uno dei vitigni autoctoni di terre coltivate nei declivi in prossimità al Gargano. Col suo colore quasi impenetrabile, il Nobiles Nero di Troia, ha una struttura corposa ma raffinata e un gusto di frutti rossi e spezie che intrigano e inebriano il palato.        

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2021-04-30

Cantine D'Arapri

Tre amici con la passione per la musica jazz e per i vitigni autoctoni del Tavoliere, una cantina sotterranea dal fascino irresistibile e degli spumanti che raccolgono estimatori da tutto il mondo. Nella storia di Cantine d’Araprì non manca nulla: l’amicizia, l’amore per la propria terra, un progetto lungimirante e una stoffa imprenditoriale fuori dal comune.   Alla base dell’azienda c’è stata la convinzione di poter produrre anche al Sud spumanti pregiati utilizzando il vitigno autoctono della Capitanata: il “Bombino bianco”. E così che i tre amici, Girolamo d’Amico, Louis Rapini e Ulrico Priore nel 1979 crearono il loro sogno. Cantine d’Araprì è la prima realtà pugliese a produrre spumanti con metodo classico.   Una scelta coraggiosa, che con il tempo si è rivelata vincente e ha portato a numerosi riconoscimenti. Entrando nella loro cantina non si possono non notare le decine di premi ottenuti negli anni per l’abilità con cui valorizzano il territorio. L’edificio che ospita Cantina d’Araprì, datato inizi del 700 e collocato nel centro storico di San Severo (fg), ci sembra quasi una casa che serba tesori straordinari e di cui conosciamo le fattezze e l’atmosfera.   Scopriamo stupìti che sotto i nostri piedi si trovano mille metri quadri di cantina sotterranea alla quale si accede attraverso un dedalo di cunicoli e gallerie. Lo spazio, periodicamente, ospita eventi e rassegne culturali. L’ambiente accoglie e custodisce il pregiato spumante che riposa placidamente in attesa di essere pronto per essere stappato. {IMAGE_0}{IMAGE_1} Ci sembra quasi di assistere a un cerimoniale, nel silenzio dei sotterranei e circondati da cataste di bottiglie il cui contenuto segue precisi protocolli artigianali affinati con l’esperienza. Tra gli spumanti troviamo il rosè millesimato "Sansevieria", ottenuto dalla vendemmia manuale di uve di Nero di Troia con il suo colore gentile e il dolce profumo di agrumi.   Per chi ama i secchi, il "Pas Dosè" prodotto da Bombino bianco e Pinot nero è uno spumante dal carattere convinto ingentilito da sentori di pasticceria. Montepulciano e Pinot Nero sono gli ingredienti preziosi del "Brut Rosè" , spumante dal gusto finissimo e rotondo con profumi di pane e frutta tostata.   Etereo e gentile è il bouquet del "Brut", primo spumante a essere prodotto dalla casa che avvolge il consumatore con sentori fruttati di mela, pesca gialla e arancia. A condurci in questo viaggio all’insegna degli spumanti sono Anna d’Amico, figlia di Girolamo, e Daniele Rapini, figlio di Louis. Perché una delle caratteristiche della cantina è l’intreccio di amicizia e familiarità che lega i componenti dell’azienda. Ai tre soci fondatori si è unita nel 2019 la cosiddetta “nuova generazione” incarnata dai tre figli: Anna d’Amico, Daniele Rapini e Antonio Priore, animati tutti e tre dal desiderio di portare avanti la tradizione cominciata dai loro padri. Ogni bottiglia di spumante d’Araprì è come una perfetta melodia jazz: lentamente rivela le sue stupefacenti note, raccontando di un prodotto che profuma di Puglia e amicizia.      

I Produttori

2021-04-30

Cantine Barsento

Il tragitto che si compie per andare a Noci (ba), cittadina che sorge sulle ridenti colline murgiane dove si trova Cantine Barsento, è costellato di paesaggi naturali che si estendono a perdita d’occhio, belli da togliere il fiato. In questo territorio incontaminato nasceva più di cinquant’anni fa una cantina che, come ci dice l’attuale Amministratore Unico Rocco Colucci, “traduce in vino l’essenza di Puglia”.   Cantine Barsento è una vivace realtà vinicola fondata nel 1969 con una mission visionaria per l’epoca: valorizzare i vini di qualità provenienti dal solo agro nocese. Quello che rende questa cantina così particolare e unica nel suo genere è qualcosa che, varcata la soglia dello stabilimento, non ci si aspetta di trovare: circa mille metri quadri di cantina sotterranea scavata nella roccia calcarea e profonda 15 metri.   Un vero gioiello enologico che stupisce per la sua inaspettata bellezza, con i suoi cunicoli e le celle organizzate perfettamente che racchiudono veri e pregiati tesori della nostra tradizione vinicola. La funzione della cantina sotterranea è quella di ottenere un vino affinato nella bottaia rocciosa, facendo sì che ci sia il controllo preciso di temperatura e umidità.   I vitigni autoctoni sono di varietà di Primitivo, Malvasia e Negramaro: uve scelte per la loro espressione di territorialità, autenticità e specificità e la cui qualità è ulteriormente sublimata attraverso una filiera di raccolta della frutta esclusivamente manuale. {IMAGE_0}{IMAGE_1} Le etichette di Cantine Barsento (si dividono tra IGP e DOC) non sono semplici prodotti vinicoli, ma sono molto di più: rappresentano la passione per le uve di qualità e per il loro legame con la natura, unica artefice delle rare caratteristiche di ogni materia prima.   Intenso e generoso è il Paturno, un rubino con un bouquet complesso e insieme amabile tipico del Primitivo dal quale proviene o il Ladislao, un Negramaro in purezza impenetrabile, quasi tenebroso. Possiede profumi maturi, decisamente virili, è affinato in botti di rovere ed è un vino per chi ama stupire e lasciarsi stupire.   Se volessimo dargli una personificazione, il Casaboli sarebbe sicuramente una donna dall’aspetto elegante e dall’intelligenza raffinata. Ottenuto da Primitivo, questo DOC è un vino di spessore che fonde la sua gradevolezza alla tannicità. Giocoso, fresco, dolce. È il Primitivo Malicchia Mapicchia, un nettare da meditazione di grande vinosità al palato, affinato per un anno e piacevole per ogni combinazione culinaria.   La tradizione vinicola di Cantine Barsento corre anche sul binario della ristorazione attraverso il ristorante Bamì. La mission? Fondere due arti incredibili: quella della cucina e quella vitivinicola e riunirle sotto una sola forma, Bamì. Il ristorante si trova all’interno di Cantine Barsento e sposa il concetto di valorizzazione delle materie prime e di piatti che rispettano le proprietà organolettiche degli ingredienti. Un concetto che, se vogliamo osare, si veste di sacralità.   La stessa che da sempre accompagna chi, sotto varie forme, lavora con rispetto e devozione i prodotti della terra.      

I Produttori

2021-04-30

Clemente

«Una splendida ed emozionante avventura»   Quando chiediamo a Michele Clemente, Presidente di Olearia Clemente, di raccontarci la storia imprenditoriale di una delle più grandi aziende di filiera italiana olearia ci risponde esattamente così: una splendida ed emozionante avventura.   Non può che essere diversamente per un’impresa dall’attività centenaria che solca gli anni e che nasce a Manfredonia, nel cuore del Gargano, tra alberi di ulivo dalle imponenti chiome e dai tronchi intrecciati, un groviglio perfetto che è proprio solo di Madre Natura.   Arriviamo in azienda percorrendo vaste distese di uliveto in cui il verde delle foglie e del frutto padroneggia prepotente sul territorio esistente. Le dense fronde degli ulivi sono appena mosse da una brezza leggera che profuma di vegetazione e salsedine del vicino Adriatico, che giunge al nostro olfatto conciliando i sensi.   In questo paesaggio incontaminato, sfiorato appena dall’antropizzazione, si incastona Olearia Clemente. La storia di Olearia Clemente è quella di una famiglia che da ben cinque generazioni è dedita alla tradizione agricola e olivicola. {IMAGE_0}{IMAGE_1} Fu inaugurata nel 1895 da Berardino Clemente, bisnonno degli attuali titolari, i fratelli Michele, Antonello, Carla e Ilenia, con il preciso obiettivo di offrire al mercato un prodotto eccellente che valorizzasse le cultivar di questa zona.   Obiettivo perseguito attraverso la gestione diretta di tutto il processo produttivo, a cominciare dal frutto, raccolto perfettamente sano, spesso a mano, e lavorato con tecnologie particolari che consentono di ottenere un prodotto unico nel gusto e nei profumi. A Olearia Clemente va riconosciuta l’abilità di dare all’olio extra vergine di oliva il valore che merita, scardinando la credenza che sia solo un condimento ma rendendolo, invece, alimento cardine della dieta mediterranea.   L’esperienza acquisita negli anni è la chiave di volta per la produzione di olio extra vergine di oliva puro e naturale. Nella sublime spremuta olive di Olearia Clemente abbiamo cultivar pugliesi, come la Coratina, l’Ogliarola Garganica e la Peranzana, monocultivar che hanno una loro specificità con qualità organolettiche esplosive che sanno di erbaceo, dolcezza, frutto e natura.   Dal rispetto per quest’ultima nasce la linea di oli biologici tra cui citiamo "U Polp", extra vergine DOP Dauno del Gargano dal sapore unico con un packaging che nei colori e nei disegni strizza l’occhio alla veracità della Puglia.   Un preciso bouquet di profumi e sapori è quello che regala l’olio "Zagare", un 100% italiano estratto a freddo che prende il nome dai fiori che circondano gli agrumeti del Gargano.   La linea Zagare è una linea storica, lanciata adesso in una versione moderna che simboleggia la quinta generazione di Olearia Clemente. In quest’olio, i cui frutti sono baciati dal sole e benedetti dall’aria, si sposano da un lato la tradizione centenaria dell’azienda e dall’altro lo slancio verso il futuro rappresentato dai giovanissimi Eliana, Leonardo, Berardino e Rosistella, desiderosi di portare Olearia Clemente in confini ancora inesplorati.      

I Produttori

2021-04-30

Cantine Pandora

Nel cuore del brindisino, florida terra ricca di meraviglie archeologiche millenarie, nasce l'azienda vitivinicola Cantine Pandora.   Ufficialmente la storia dell'attività comincia nel 2017, ma quella del suo fondatore ha origini un po' più remote. Il proprietario, Francesco Fumarulo, deve la sua fortuna alla terra e al lavoro di agricoltore. Con orgoglio e trasporto, Francesco ci spiega che la sua passione per la viticoltura nasce da bambino, per poi diventare negli anni un vero e proprio mestiere culminato nella creazione di Cantine Pandora.   Lo stabilimento sorge nel bel mezzo della natura, tra maestosi alberi di ulivo, animali al pascolo, lunghi filari di uva e vaste distese di campi. Cullati dall'aria salubre e placida di Brindisi, le uve di Cantine Pandora trasformate in eccellente vino rosso, bianco e rosato sono quasi tutte salentine.   La volontà di Francesco di contribuire alla crescita della sua zona è attestata da una scelta ben precisa: utilizzare in gran parte vitigni autoctoni di Primitivo, Negramaro, Malvasia Nera e Malvasia Bianca coltivati secondo standard biologici.   Con incredibile rispetto per la tradizione e l'ausilio di moderne tecnologie enologiche, Cantine Pandora è oggi un'azienda di successo. Le bottiglie sono un piccolo capolavoro che racchiudono la fatica, l'amore per la terra, il lavoro in vigna e in cantina e, non a caso, possono tutte fregiarsi del marchio IGP. {IMAGE_0}{IMAGE_1} Come ci tramanda la leggenda sull'antico vaso di Pandora, stappare una bottiglia di questa cantina equivale a scoprire tutto il buono e il bello del territorio di origine.  Il vino, altrimenti conosciuto anche come “nettare degli dei”, per Cantine Pandora ha un effettivo legame con la divinità, al punto da meritare i nomi che richiamano la mitologia.   A uno dei “re” del Salento, il Primitivo, è dedicato Zeus, appellativo della massima divinità dell'Olimpo. Zeus è un rosso dai colori violacei prodotto da uve raccolte a mano negli antichi vitigni della zona, morbido e avvolgente con sentori di frutta rossa.   Negramaro e Malvasia sono i vitigni da cui provengono le uve del Prometeo, altro rosso ottenuto da storici vigneti allevati ad alberello che donano al vino un sapore delicato, ampio, intenso e piacevolmente secco e corposo. Poi troviamo Ermes, Negramaro del Salento vinificato in purezza con metodo tradizionale, tannico e strutturato al punto giusto.   Ad Atena e Afrodite sono dedicati due dei rosati ottenuti entrambi da uve di Negroamaro e con intensi sentori fruttati e molto equilibrati. Tra i bianchi troviamo Gea, un vino di Malvasia Bianca del Salento dal carattere raffinato, strutturato e persistente o l'affascinante Era, creato da uve Chardonnay che spicca per i suoi riflessi dorati e il sapore fine, secco ma armonico.   Prodotto di punta di Cantine Pandora è il rosso '71 IGT, affinato 6 mesi in barriques di rovere francese. Forti, generosi e intensi sono i suoi profumi, che ricordano tanto i fichi appassiti e che in questo vino prodotto da vitigni di Primitivo conferiscono un carattere originale e volitivo.   Vini che affascinano il consumatore per il loro contenuto sopraffine e vigoroso, proprio come il territorio da cui provengono.      

I Produttori

2021-04-30

Chiarappa Fuochi d'Artificio

Nel 1940 nasceva a San Severo la PIROTECNICA CHIARAPPA, impresa pugliese conosciuta in tutto il mondo per la bellezza scenografica dei suoi spettacoli pirotecnici. Ottant’anni di attività e quattro generazioni di imprenditori esperti nell’arte degli spettacoli di luci e fuochi, rendono la PIROTECNICA CHIARAPPA un punto di riferimento nel settore delle esibizioni di fuochi d’artificio.   L’azienda produce ogni tipo di gioco pirotecnico nel pieno rispetto degli standard di sicurezza dettati dall’Unione Europea e testa i prodotti seguendo le linee guida di Istituti accreditati. L’incredibile mestiere della preparazione dei fuochi d’artificio è tramandato con cura e passione di padre in figlio e si è evoluta al punto tale da offrire al pubblico show pirotecnici incredibili e mozzafiato.   La Pirotecnica Chiarappa ha illuminato i cieli di tutta Italia, portando la maestria pugliese anche in Europa come le numerose partecipazioni in Germania, Croazia, Francia, Austria, vincendo numerosi contest e ricevendo tanti premi e riconoscimenti.   Menzione a parte merita la partecipazione della Pirotecnica Chiarappa alla festa di inaugurazione di Matera 2019 Capitale Europea della Cultura. La consequenzialità delle immagini che improvvisamente appaiono in alto nel cielo e che miscelano disegni di fontane luminose, stelle filanti che scendono lente, stelle che scoppiano dividendosi in tante altre stelline e via dicendo, sono tutti giochi non casuali ma studiati a tavolino da veri esperti che conoscono i segreti della pirotecnica e che sanno bene gli effetti di un certo percorso e come realizzarlo. {IMAGE_0}{IMAGE_1} Lo studio non è superficiale ma molto dettagliato e approfondito. Come un regista, Nicola Chiarappa, ultimo della discendenza, deve prevedere tempi, cause ed effetti, così da permettere l’esecuzione di uno spettacolo programmato in ogni suo minimo dettaglio. Non solo tradizione ma anche e soprattutto innovazione.   La Pirotecnica Chiarappa offre i classici spettacoli “a terra” ed esibizioni radiocomandate, con programmazione a distanza e avvio computerizzato.  Le sfumature di colori si ottengono calibrando e mischiando varie tipologie di prodotti chimici, finché non si ottiene il risultato desiderato.   Un lavoro che richiede una cura meticolosa dei prodotti maneggiati per far sì che ogni sfumatura e nuance sia esattamente quella richiesta dal committente. Come in tutte le imprese artigianali, anche in questo caso c’è un minuzioso metodo di preparazione per ottenere i colori e i risultati desiderati: la “ricetta”, custodita gelosamente, è tramandata da decenni da padre in figlio.   Grazie alla creatività di famiglia, all’esperienza e alla voglia di portare sempre più in alto la diffusione dell’arte pirotecnica, la Pirotecnica Chiarappa ha aperto un punto vendita dedicato alla commercializzazione di prodotti per ogni tipologia di feste. Tra fuochi d’artificio, festoni e gadget la Pirotecnica Chiarappa realizza spettacoli ed esibizioni incredibili che vi faranno sognare ad occhi aperti. Oggi è Nicola Chiarappa a detenere le redini dell’azienda per proiettarla in un futuro sempre più promettente.    

I Produttori

2022-12-07

A mano libera

Una storia che ha le sue radici lontano nel tempo, perché lontano ha sempre saputo guardare Don Riccardo Agresti: bastano una masseria e tante mani che chiedono solo di essere impiegate per qualcosa di buono. I taralli di “aMano Libera” nascono così, grazie a al progetto della Diocesi di Andria “Senza Sbarre”.   Siamo nelle campagne andriesi, si gode di un bellissimo panorama, con Castel del Monte che si staglia sullo sfondo, simbolo di una Puglia antica e vera. Qui si trova la masseria fortificata San Vittore.   San Vittore è diventato un luogo di riabilitazione e reinserimento per decine di detenuti ed ex detenuti con i suoi dieci ettari di terreno. I colori vivaci della frutta, le fragranze dell'orto, il suono del vento che passa tra i rami degli ulivi sono accessori al profumo che proviene dalle cucine.   Don Riccardo ci racconta che il progetto "Senza sbarre" e la cooperativa "aMano Libera" producono taralli artigianali con materie prime naturali di qualità e a km 0. Il vero fatto a mano, perché non ci sono macchine industriali a dare forma ai taralli ai cereali in quel momento sono in lavorazione: le mani indaffarate e abili degli operatori si muovono con precisione sui banconi e dispongono sulle teglie quelle forme tondeggianti di amore puro.   Oltre al classici taralli ai semi di finocchio, sono state affiancate varietà gustose, come la già citata ai cereali, per passare a quella con i pomodori secchi, che coniugano uno dei sapori più identificativi del territorio pugliese con un un prodotto tipico, e i taralli al Nero di Troia: solitamente i taralli si impastano con vino bianco, mentre qui si sceglie uno dei vitigni del territorio più acclamati.   Il profumo che proviene dal forno si diffonde in tutti i locali dedicati alla produzione, che parte dagli impasti ottenuti con farine locali di qualità. La forma è data rigorosamente a mano e dopo si passa la bollitura, terminata la quale i taralli finiscono nel forno, autore di quei profumi che si assaporano ben prima di entrare nella struttura.   “aMano Libera” nasce come misura alternativa al carcere, che dona speranza, nuove prospettive ai suoi operatori, ma anche prodotti della tradizione di qualità per tutti i golosi del mondo.   Il ricavato dalla vendita dei taralli torna in circolo, reinvestito per dare possibilità di riscattarsi anche ad altre persone che hanno visto sul loro percorso il carcere.  

I Produttori

2021-04-30

Puglia Sapori

Se dovessimo scegliere che forma dare alla Puglia probabilmente opteremmo per la classica e sinuosa rotondità del tarallo. Simbolo della nostra gastronomia più antica, di una consuetudine che attraversa i secoli, è sul tarallo che si fonda la storia dell’azienda Puglia Sapori.   Siamo a Conversano (ba), gioiellino architettonico con un borgo antico tra i più belli della regione. Nata negli anni Novanta, l’azienda a conduzione famigliare Puglia Sapori ha mosso i primi passi nel settore della pasticceria tipica locale, per poi approdare nel 2000 alla produzione di gustosi snack salati.   La nostra guida è Roberto Renna, direttore operativo dello stabilimento che sorge, insieme alle altre aziende adiacenti, a metà tra la città e l’aperta campagna, quasi a voler testimoniare un legame diretto con la natura e le sue bontà. L’abilità con cui Puglia Sapori coniuga il sapore degli snack con il rispetto per la tradizione è il loro marchio di fabbrica.   Pochi - ma di qualità - sono gli ingredienti dei tarallini, segno di una filosofia imprenditoriale che in tutti questi anni ha voluto tener viva la versione casereccia dei prodotti da forno. Un’azienda che ha adattato la propria produzione alla ricetta originale e che, al di là delle materie prime, rispetta la preparazione in ogni suo punto.   Non è un caso che Puglia Sapori sia una delle poche aziende che prevede la bollitura del tarallo, proprio come si era soliti fare nelle case e nei panifici di un tempo. Come ci spiega Roberto, questo è un passaggio fondamentale per preservare la fragranza e la consistenza del prodotto, sebbene questo incida sulla lunghezza dei tempi di produzione. {IMAGE_0}{IMAGE_1} La continua ricerca della perfezione organolettica, mixata alla croccantezza tipica del tarallo, porta Puglia Sapori a produrre una vasta gamma di specialità buonissime e davvero sfiziose. La Linea Classica offre - tra i tanti -  taralli ai semi di finocchio, semplici con olio extra vergine di oliva, ai multicereali, al peperoncino, alla pizza e alla cipolla o la versione Multipack, per non restare mai senza il proprio snack.   L’attenzione alla salute è tra i temi centrali dello sviluppo dei prodotti di Puglia Sapori. Per questo il marchio ha investito in ricerca e sviluppo, proponendo accanto alla linea Classica anche una Gluten free e Biologica. Ce n’è per tutti i gusti nella Linea Bio. Si può scegliere tra tarallini ai multicereali, per un prodotto non solo buono ma anche leggero, tarallini al farro e specialità con grano duro Senatore Cappelli, tutti preparati con olio extra vergine di oliva e senza lievito.   “Buoni anche senza” è il motto della linea Gluten free che ha uno stabilimento dedicato e una ricetta sviluppata in collaborazione con l’Università di Bari. Lo scopo era di trovare il giusto mix di farine senza glutine che lasciasse inalterato il sapore del classico tarallo.   E Puglia Sapori ci è riuscita, proponendo al consumatore taralli al grano saraceno, con farina di quinoa, integrale o di legumi.   Buoni e piacevoli, per una pausa gustosa in cui il sapore di Puglia si avverte già dal primo morso.